Utilizzare residui agricoli, come paglia, crusca o simili, al posto di grano, mais e canna da zucchero, senza cambiare gli impianti di produzione: l’Università di Borås ha capito come fare
La produzione di bioetanolo da rifiuti non richiede nuove centrali
(Rinnovabili.it) – La produzione mondiale di bioetanolo ha superato nel 2015 i 115mila milioni di litri. A sostenere questi volumi sono ancora in maniera predominante risorse della filiera agroalimentare. Eppure è possibile produrre negli impianti esistenti bioetanolo da rifiuti agricoli e industriali in maniera che sia sostenibile sia sul fronte economico che sociale.
A sostenerlo sono gli scienziati dell’Università di Borås, in Svezia, autori di nuovo progetto di ricerca sulla riconversione delle moderne fabbriche di etanolo. “Sto verificando un processo che speriamo possa applicato su una scala industriale”, spiega il ricercatore Ramkumar Nair. Grazie ad esso, la produzione potrebbe diventare più sostenibile, utilizzando i rifiuti agricoli o industriali per ottenere il combustibile, al posto del grano, della canna da zucchero o del mais.
Il progetto ha elaborato un nuovo modello economico e tecnico per permettere ai produttori commerciali di passare dalla I alla II generazione di bioetanolo. “Ciò significa utilizzare residui agricoli, come paglia, crusca o simili per produrre l’alcol senza fare grandi investimenti nelle fabbriche: tutto ciò che serve c’è già, è possibile utilizzare i reattori esistenti”.
La più grande sfida che lo scienziato e i suoi colleghi si sono travati di fronte è stata quella di reperire un modo per non aggiungere sostanze chimiche al processo di abbattimento e degradazione di rifiuti, in maniera da poter utilizzare i residui di produzione nell’alimentazione animale. E, chiarisce Nair, “quello che abbiamo aggiunto” ossia l’acido fosforico “non dovrebbe fermare la fermentazione”. Ma la vera svolta è arrivata dall’impiego della Neurospora intermedia, fungo commestibile dotato di una buona capacità di fermentazione alcolica e al tempo stesso in grado di essere un valido ingrediente dei mangimi animali, grazie all’elevata percentuale proteica. Il team l’ha aggiunto al processo sotto forma di pellet.
L’intero metodo è stato prima testato su piccola scala in laboratorio, quindi all’interno di una struttura più ampia presso un impianto di gestione rifiuti e infine su scala ancora più grande, nella centrale di produzione biofuel dell’azienda svedese SEKAB. “Ora c’è una verifica del processo (e un brevetto), in modo che l’industria possa continuare a svilupparla”, aggiunge Ramkumar Nair. “Spero, in pochi anni, di poter vedere una grande fabbrica di etanolo di prima generazione iniziare a produrre bioetanolo da rifiuti agricoli, utilizzando questo modello di integrazione”.