(Rinnovabili.it) – E’ durata meno di 48 ore la parentesi verde dell’Australia, che resta ancorata al carbone. Lunedì il ministro dell’Ambiente Josh Frydenberg aveva annunciato che il governo stava considerando la possibilità di introdurre un sistema di scambio di quote di emissioni nell’ambito della revisione delle politiche climatiche del Paese. Oggi arriva la smentita, direttamente dal premier Malcolm Turnbull. Che non solo stralcia un possibile sistema ETS, ma aggiunge che non vuole mettere neppure una carbon tax.
La retromarcia è stata fulminea. Appena 20 minuti dopo che Turnbull aveva tuonato contro il suo ministro, intimandogli anche di chiarire le sue affermazioni, il titolare del dicastero dell’Ambiente ha convocato una conferenza stampa in cui ha dichiarato: “Ho una posizione molto chiara. Non adotteremo un ETS né una carbon tax”. Di chiaro, in realtà, c’è molto poco. Gli alleati politici di Turnbull avevano mal digerito l’apertura di Frydenberg e questo spiega la fretta nel correggersi. Ma resta un grande punto interrogativo sulle politiche sul clima dell’Australia.
Senza misure come l’ETS o una carbon tax, infatti, è più che probabile che il Paese non riesca a rispettare gli impegni sulle emissioni sottoscritti con l’Accordo di Parigi. L’Australia è uno dei maggiori inquinatori mondiali per CO2 pro capite emessa, un primato che deriva in larga parte dalla dipendenza dalle centrali termoelettriche.
A fine novembre un rapporto pubblicato dal Senato australiano chiedeva al governo di programmare in modo puntuale l’abbandono del carbone in favore di una produzione energetica più pulita e più economica. Sostenuto da laburisti e verdi, il documento invitava il governo a preparare un piano per il phase out delle centrali a carbone che garantisse sicurezza sul fronte ambientale, energetico ed occupazione. Pochi giorni fa l’associazione delle industrie energetiche nazionali suggeriva in un report che l’adozione di un sistema ETS entro il 2022 fosse il modo meno costoso dal punto di vista economico per tagliare le emissioni, e calcolava in 200 dollari l’anno i risparmi per gli utenti al 2030.