(Rinnovabili.it) – Non era passata neppure un’ora dal giuramento del nuovo presidente americano Donald Trump, che il sito web della Casa Bianca già veniva accuratamente rimaneggiato. Tutte le pagine dedicate al climate change e ai piani dell’ex amministrazione a favore dell’azione climatica sono scomparse, relegate in un archivio online esterno al WhiteHouse.gov. Al loro posto c’è ora l’America First Energy Plan, il documento programmatico con cui Trump si impegna a “eliminare le politiche dannose e inutili”. Prima fra tutte il Climate Action Plan di Obama che nel 2013 aveva stabilito l’obiettivo di raddoppiare la produzione di elettricità da fonti rinnovabili, imponendo alle tradizionali centrali di produzione di energia di ridurre le emissioni del 32% entro il 2030 rispetto ai valori ottenuti nel 2005.
Sotto attacco anche il Clean Water Rule, il provvedimento che tutela la salute pubblica attraverso la protezione dei corsi d’acqua nazionali. L’ultima versione promossa da Obama estendeva la protezione dell’EPA, e quindi del governo federale, a due milioni di miglia di corsi d’acqua e a 20 milioni di acri di zone umide, che forniscono acqua potabile ad un terzo del Paese. Ora sarà completamente stralciato.
Sul tema della tutela ambientale rimangono poche righe, dal significato volutamente fumoso: “il Presidente Trump rifocalizzarà l’EPA sulla sua essenziale missione di proteggere la nostra aria e l’acqua”.
Tolte le principali politiche energetiche della precedente amministrazione, cosa rimane? Tutte le promesse della campagna elettorale: scisti e carbone made in USA per liberarsi velocemente dal gioco dell’OPEC e di “eventuali nazioni ostili”.
“L’Amministrazione Trump abbraccerà la rivoluzione petrolio e del gas di scisto per portare posti di lavoro e prosperità a milioni di americani. Dobbiamo approfittare dei circa 50 miliardi di dollari di scisto non sfruttato, in particolare nelle terre federali che gli americani possiedono”. Un futuro, almeno nelle premesse, fatto di sostegno al settore, con l’obiettivo di usare i ricavi dalla produzione di energia fossile per costruire strade, scuole, ponti e infrastrutture pubbliche.
Per molti analisti di settore la bolla del fracking è destinata a scoppiare a breve andando incontro ad una crisi simile a quella che colpì i titoli subprime del mercato immobiliare. Per altri, la produzione di shale oil e shale gas statunitense, che rimane particolarmente alta nonostante i primi segni di sofferenza del settore e il pesante indebitamento, potrebbe permettere all’industria di liberarsi dei rami secchi, venendo fuori da questo momento congiunturale più forte e solida. Un’ipotesi che potrebbe avverarsi se il governo iniziasse a incentivare e detassare l’industria.
Nel piano energetico fa capolino anche il carbone, unitamente alle tecnologie di CCS che ancora oggi però hanno costi iniziali alti e impegnativi, superati ormai da tempo dalle rinnovabili stelle e strisce. Di queste però è stato eliminato qualsiasi riferimento, anche velato.