Rinnovabili • Trivelle, le proroghe eterne sono illegali ma l’Ue fa finta di nulla Rinnovabili • Trivelle, le proroghe eterne sono illegali ma l’Ue fa finta di nulla

Gli ambientalisti smentiscono le valutazioni economiche dei pro-trivelle

Greenpeace, Legambiente e WWF rispondono alle proteste di aziende e forze sociali: non esiste alcuna ricaduta di massa sui livelli occupazionali  legata alla moratoria sulle esplorazioni

Trivelle, le proroghe eterne sono illegali ma l’Ue fa finta di nulla

 

Gli ambientalisti si dichiarano pronti al confronto con le forze sociali sul tema trivelle

(Rinnovabili.it) – C’è anche la questione trivelle tra i grandi temi che la mobilitazione nazionale di Cgil, Cisl, Uil porterà in piazza il prossimo 9 febbraio. Il motivo? Le nuove misure, stabilite dal governo, per il settore degli idrocarburi, ritenute dai sindacati italiani un grave errore (leggi anche Raggiunta l’intesa M5S-Lega sulle trivellazioni). “18 mesi di moratoria, che possono diventare addirittura 24, e canoni più alti di 25 volte si tradurranno inevitabilmente in una crisi del settore, che è strategico per il Paese e per il suo bilancio energetico”, affermava solo qualche giorno fa la segretaria generale della Femca-Cisl, Nora Garofalo.La mobilitazione […] servirà anche a chiedere chiarezza su questa decisione del governo, una vera iattura non solo per il settore estrattivo e i suoi livelli occupazionali, ma per l’intera economia nazionale e del suo sistema energetico”.

 

Una posizione, quella delle forze sociali, difficilmente condivisibile dagli ambientalisti che oggi rispondono alle principali critiche dei pro-trivelle. In una nota stampa congiunta Greenpeace, Legambiente e WWF smontano, punto per punto, quelle che essi stessi definiscono una battaglia “basata su valutazioni economiche ampiamente fittizie e su grandi mistificazioni”.

 

La prima  grande mistificazione è che in Italia non esiste alcun provvedimento di blocco dell’estrazione di idrocarburi gassosi o liquidi, ma solo la sospensione e per soli 8 mesi di poche decine di permessi di prospezione e ricerca in vista della definizione di un Piano delle aree. Piano che, peraltro era stato previsto già dal 2014 e poi, inspiegabilmente cancellato nel 2016. Non esiste, quindi, alcuna ricaduta di massa sui livelli occupazionali nel settore della produzione di oil and gas in Italia – scrivono le associazioni, ricordando anche che non esiste nel nostro Paese un ricco e diversificato settore dedicato all’estrazione di idrocarburi, ma, a fronte di riserve di idrocarburi comunque scarse, presenta una situazione di assoluta predominanza in capo a quella che sostanzialmente è ancora una azienda di Stato”. Oggi infatti l’ENI e le sue associate controllano l’85% delle piattaforme petrolifere offshore e l’assoluta maggioranza delle trivellazioni a terra.

 

Non solo. Le compagnie petrolifere in Italia devono versare allo Stato il valore di una quota percentuale rispetto quanto estratto: 10% sul gas e del 7% sul petrolio. Royalty piuttosto basse su cui scatta anche l’esenzione se la produzione annuale non supera le 50mila tonnellate per il petrolio a mare (20mila a terra) e gli 80mila metri cubi per il gas a mare (25milioni a terra). “Questo comporta, come rilevato ad ultimo nel 2015 dalle associazioni che su 123 concessioni operanti delle 202 presenti in terra e in mare in Italia solo 30 superavano la franchigia oltre la quale si dovevano versare le royalty e che tra il 2017 e i primi tre trimestri del 2018 la franchigia è stata applicata solo al 27% della produzione italiana di gas offshore e al 22% circa della produzione offshore di petrolio. […] Si aggiunga poi che il costo annuale delle concessioni nel nostro Paese, prima dell’aumento di 25 volte previsto nel decreto semplificazioni era di circa 100/200 volte inferiore a quello applicato in Olanda per le attività di prospezione e ricerca e di circa 12 volte per le concessioni produttive. Il prelievo fiscale su queste attività si aggira tra il 50 e il 68%, quando in Norvegia (maggiore produttore europeo di idrocarburi) si aggira attorno al 78% e nel Regno Unito tra il 68 e l’82%”.