La strategia energetica nazionale spiegata dalle voci dell’attivismo italiano
(Rinnovabili.it) – Bene sul carbone, male sulle rinnovabili. Il giudizio degli ambientalisti sulla proposta di Strategia energetica nazionale avanzata dal Ministero dello Sviluppo Economico, con il corredo del Ministero dell’Ambiente, è più o meno unanime. Cambiano le sfumature, ma in generale vi è una polarizzazione delle opinioni che vede da una parte la sostanziale approvazione per l’abbandono del combustibile più inquinante tra il 2025 e il 2030, dall’altra la bocciatura di tutto il resto del pacchetto.
Secondo Andrea Boraschi, responsabile Energia e Clima di Greenpeace, «c’è una notevole differenza tra chiudere l’ultima centrale a carbone nel 2025 o nel 2030. Calenda dice inoltre che uscire dal carbone costerà tre miliardi di euro. Questa stima include i risparmi che il nostro paese avrebbe dal mancato import di carbone, i benefici sanitari, climatici ed economici che verranno dall’azzeramento delle emissioni? L’Agenzia europea per l’ambiente, pochi anni fa, stimava in oltre 500 milioni l’anno gli impatti del solo impianto di Brindisi: qualcosa ci dice che all’Italia converrebbe uscire dal carbone anche dal punto di vista economico».
Si felicita anche il WWF, che tramite la responsabile Clima, Mariagrazia Midulla, scommette sulla possibilità di chiudere tutti gli impianti già nel 2025. Tuttavia, gli attivisti del panda sono dubbiosi «sulla supposta necessità di nuova capacità, ‘scoperta’ improvvisamente dopo aver autorizzato alla chiusura centrali a ciclo combinato. Molto più cruciale è invece puntare sui sistemi di accumulo di energia per garantire la stabilità del sistema, investimenti che hanno un senso anche nel futuro decarbonizzato del settore energetico». In particolare, il WWF auspica obiettivi di decarbonizzazione totale al 2050 nel testo definitivo.
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Punta il dito sulla debolezza delle proposte in tema di rinnovabili Legambiente, che con il vice presidente Edoardo Zanchini dichiara: «Gli obiettivi di penetrazione delle rinnovabili al 2030 si limitano a recepire gli obiettivi europei, quando l’Italia potrebbe, per le risorse che ha, e dovrebbe fare molto di più. Se non innalziamo almeno al 35% gli obiettivi, non riusciremo mai a dare il contributo a livello europeo previsto per stare dentro gli obiettivi dell’Accordo di Parigi».
Dall’associazione del cigno piovono strali anche sugli annunci in tema di efficienza, che reputa «vaghi nei contenuti e incapaci di smuovere investimenti già ridotti all’osso, in particolare nel settore edilizio».
Anche Marica Di Pierri dell’associazione A Sud, parte della Coalizione Clima, boccia la proposta dei due Ministri: «Una SEN ambiziosa e adeguata alla sfida posta dai cambiamenti climatici dovrebbe prendere le mosse dall’immediata rinuncia a nuovi progetti di ricerca e estrazione di oil&gas, dalla rapidissima chiusura delle centrali a carbone, dall’eliminazione dei miliardi (14,7 l’anno) di incentivi pubblici ancora garantiti alle fonti fossili. Di tutto questo nella proposta di Calenda e Galletti non c’è traccia. Anzi, gli ultimi provvedimenti dell’esecutivo mostrano che la strada intrapresa è quella opposta: ampliare la frontiera estrattiva in terra e in mare, costruire inceneritori e mega infrastrutture energetiche impattanti e di dubbia utilità, come il TAP, riformare – svilendola – la procedura di VIA».
Sul settore dei trasporti, Greenpeace rincara la dose: «ogni investimento per rinnovare il parco veicoli deve andare verso la mobilità elettrica, ovvero per la realizzazione di una infrastruttura diffusa di ricarica e per l’acquisto di veicoli elettrici. Neppure un centesimo per passare a nuove categorie, tipo Euro 6, specie se diesel. Il riferimento fatto da Calenda a una penetrazione dell’elettrico oltre il 10 per cento al 2030, in questo scenario, è una prospettiva senza ambizione che anzi sa di uno stop a un mercato in grande crescita, come confermato da diverse analisi».
Il Movimento No Triv, invece, è critico su tutta la linea: «Le istanze degli stakeholders più illuminati sono rimaste sostanzialmente inascoltate – si legge nel comunicato – Nelle audizioni avevano chiesto un salto di qualità e l’improrogabile coraggio di puntare ad una strategia che non si limitasse al rispetto dell’Accordo di Parigi, ma che sapesse guardare al 2050, ben oltre gli obiettivi 40-27-27 del Pacchetto Clima-Energia 2030, e che fosse in grado di attuare un vero ripensamento in senso ecologico dei diversi settori dell’economia nazionale. Il Governo di tutto questo ha preferito non tener conto, facendo del gas naturale, in tutte le sue forme, la pietra angolare della nuova SEN ed ipotecando in chiave fossile i prossimi 30 anni di vita del nostro Paese».