Secondo un gruppo di ricercatori negli USA l'energia immagazzinata nei materiali termochimici può riscaldare efficacemente gli ambienti interni, raggiungendo ottime performance soprattutto nelle regioni umide
Cosa sono i materiali termochimici?
I materiali termochimici (TCM) rappresentano un’eterogenea classe di composti che attraverso reazioni chimiche interne reversibili, immagazzinano e rilasciano calore. Nel gruppo rientrano diversi sali idrati, così come adsorbenti a base di gel di silice o zeolite.
Rispetto all’accumulo di calore sensibile e all’accumulo di calore latente, lo stoccaggio termochimico offre teoricamente una maggiore densità di energia teorica (100–1000 kWh/m3) e minime perdite a lungo termine grazie alla sua indipendenza dalla temperatura. Ma le applicazioni nella vita reale sono ancora fortemente limitate.
A dare una nuova chance all’applicazione dei TMC è oggi una ricerca condotta dai ricercatori del National Renewable Energy Laboratory (NREL) del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti e del Lawrence Berkeley National Laboratory. Il team di scienziati ha studiato una configurazione realistica per integrare i materiali termochimici nel sistema di riscaldamento domestico, ventilazione e aria condizionata (HVAC).
Ma per capire la portata dello studio è bene fare qualche precisazione.
Sistemi TMC aperti e chiusi
I TM devono le loro capacità di stoccaggio termico all’acqua. Idratandoli o disidratandoli – quindi creando e rompendo legami con l’acqua allo stato di vapore – liberano o accumulano energia. I sistemi basati sui materiali termochimici possono essere classificati come sistemi a ciclo aperto o chiuso in base alla loro progettazione e configurazione. I primi, come suggerisce il nome stesso, sono aperti alle condizioni ambientali e il vapore acqueo proviene direttamente dall’aria ambiente. Quando il TMC si trova invece in una camera isolata senza aria, si ha un sistema chiuso. In questo caso, il vapore acqueo deriva dall’evaporazione dell’acqua liquida in una seconda camera.
I sistemi termochimici a ciclo aperto sono ovviamente più semplici, ma rappresentano una sfida durante l’inverno. Perché? Perché usare l’aria interna per guidare la reazione di idratazione può ridurre l’umidità dell’edificio a un livello sgradevole, mentre quella fredda esterna contiene un’umidità limitata.
Materiali termochimici integrati nel riscaldamento domestico
“Il modo in cui abbiamo integrato il sistema (TMC) nell’edificio ci ha permesso di farlo senza seccare la casa”, ha affermato Jason Woods, ingegnere del NREL e coautore del nuovo articolo su questo argomento. “È importante pensare alla provenienza dell’umidità, perché le prestazioni possono essere significativamente influenzate in base al modo in cui è integrata”.
Il gruppo ha studiato da vicino le prestazioni termiche di un reattore termochimico alimentato da un particolare idrato di sale. Parliamo del cloruro di stronzio (SrCl2), uno dei candidati più promettenti per l’accumulo termico a bassa e media temperatura negli edifici grazie alla sua facilità di idratazione tramite vapore acqueo a 70°–150 °C.
Come altri TMC, questo materiale emette calore reagendo con il vapore acqueo nell’aria. Per la loro ricerca gli scienziati hanno preso in considerazione diversi climi, esaminato diverse configurazioni e prestato particolare attenzione alla fonte del vapore acqueo. Modellando i sistemi e verificandone i risultati in ambiente reale.
La configurazione con le prestazioni migliori, spiega il NREL in una nota stampa, “ha permesso al reattore TCM di riscaldare l’aria in uscita dall’edificio, che si trova alla stessa temperatura e umidità dell’aria interna. Una volta riscaldata, questa a sua volta riscalda indirettamente la ventilazione in entrata tramite uno scambiatore di calore. Ciò impedisce al reattore di deumidificare l’aria interna e fornisce un livello di umidità sufficiente”.
Quanto costerebbe un’applicazione simile?
Nota bene: questa applicazione funziona solo per gli edifici che hanno lo sfiato dell’aria di scarico situato vicino alla ventilazione in entrata. Woods ha affermato che il reattore non è destinato a sostituire una pompa di calore o una caldaia, quanto piuttosto a immagazzinare energia per un uso successivo.
Ovviamente l’umidità relativa si è rivelata un fattore chiave per le prestazioni del sistema. I ricercatori hanno quindi modellato il proprio reattore per una casa monofamiliare, la hall di un piccolo hotel, un edificio per uffici di medie dimensioni e le stanze di un ospedale. Il costo marginale del capitale per un sistema di accumulo termochimico diminuisce all’aumentare delle dimensioni dell’edificio, con un costo livellato di stoccaggio (LCOS) stimato inferiore a 10 centesimi per kilowattora.
Leggi la ricerca sulla rivista scientifica Applied Energy (testo in inglese).