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Convertire la CO2 con i sistemi di accumulo di energia rinnovabile

Due prototipi dell’Oak Ridge National Laboratory combinano la cattura della CO2 con l’energy storage. Sfruttando le reazioni elettrochimiche generate durante il processo di rilascio dell’energia dalla batteria e un elettrolita liquido, sono riusciti ad addizionare anidride carbonica ricavandone una polvere solida che può essere reimpiegata in altri usi industriali. Entrambe le configurazioni impiegano acqua salata come elettrolita e materiali abbondanti (ferro-nickel e alluminio)

Convertire la CO2 con i sistemi di accumulo di energia rinnovabile
crediti: ORNL

I prototipi riescono a convertire la CO2 senza degradare le prestazioni delle batterie

Sfruttare la reazione elettrochimica che avviene durante il rilascio di energia da una batteria per catturare e convertire la CO2 in prodotti che possono essere riutilizzati. È l’idea alla base di due nuovi prototipi messi a punto dai ricercatori dell’Oak Ridge National Laboratory (ORNL) del DoE statunitense. Che combinano i sistemi di accumulo per energia rinnovabile con la tecnologia per la cattura dell’anidride carbonica.

Come funziona la batteria per convertire la CO2?

Il funzionamento di base delle due batterie non è diverso da quelle tradizionali. Il processo studiato all’ORNL sfrutta proprio le reazioni elettrochimiche che spostano gli ioni tra i due elettrodi attraverso un elettrolita. Nei prototipi dell’ORNL, all’elettrolita liquido viene addizionata dell’anidride carbonica. Durante il rilascio di energia dalla batteria, gli elettroni liberi sono coinvolti anche nel processo di conversione della CO2 in una polvere solida.

Un vantaggio di questa configurazione è la possibilità di collegare il sistema di accumulo – ad esempio, un sistema di storage per energia solare o eolica – con una fonte di CO2 catturata da attività industriali.

I due prototipi usano entrambi materiali abbondanti, aggirando possibili criticità nella catena di fornitura. Un modello si basa su un catalizzatore ferro-nickel e sfrutta il sodio presente nell’acqua salata per convertire la CO2. L’altro usa invece l’alluminio e lo stesso elettrolita liquido.

Uno dei passi avanti cruciali nell’applicabilità del processo riguarda la CO2 convertita. In altri tentativi precedenti, il materiale solido che risulta dalla conversione della CO2 tende a intasare la superficie degli elettrodi, causando un degrado delle prestazioni della batteria. In più, il sodio tende a creare una pellicola che riduce o azzera la funzionalità degli elettrodi.

La configurazione presentata dall’ORNL, al contrario, ottiene un sottoprodotto che si dissolve nell’elettrolita liquido e migliora le prestazioni del sistema di accumulo. Ma può essere filtrato – senza interrompere il funzionamento della batteria – ricavandone una polvere che può essere ulteriormente lavorata e impiegata per usi industriali, ad esempio nel settore farmaceutico o in quello del cemento. In più, a differenza di altre configurazioni che rilasciano CO2, il ciclo genera soltanto ossigeno e idrogeno. Che potrebbero anche essere a loro volta catturati e impiegati in altri usi industriali.

Per quanto riguarda la pellicola creata dal sodio, invece, il team di ricercatori ha appurato che scariche irregolari durante i cicli di carica e scarico della batteria sono sufficienti a ridurre o evitare del tutto la sua formazione.

Lo studio dell’ORNL è disponibile qui.

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