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Batterie termiche al sale per riscaldare e raffrescare gli edifici

I ricercatori del Georgia Tech hanno testato una combinazione di due sali facilmente reperibili per immagazzinare energia pulita sotto forma di calore. La batteria termochimica realizzata ha mostrato una buona capacità di accumulo di energia, densità di potenza e ciclabilità

Batterie termiche al sale per riscaldare e raffrescare gli edifici

Accumulo di energia termica integrato in edilizia

Batterie termiche al sale da applicare negli edifici per soddisfare le esigenze di riscaldamento. O da integrare con le pompe di calore per mantenere gli stessi al fresco. Questo l’obiettivo su cui sta lavorando un gruppo di ingegneri del Georgia Tech (USA) e su cui si sta mettendo alla prova una buona fetta della ricerca globale sull’accumulo termochimico. E il nuovo lavoro pubblicato dal team sul Journal of Energy Storage mostra chiari progressi in tale senso.

Materiali termochimici: gli idrati di sali

Partiamo da un concetto a monte. Oggi l’accumulo di energia termica rinnovabile (TES –  thermal energy storage) rappresenta un’interessante soluzione per decarbonizzare gli edifici fornendo carichi termici su richiesta. Tre le diverse tecnologie TES, le batterie al sale possono essere classificate nella categoria che sfrutta materiali e reazioni termochimiche reversibili. Si tratta di una delle opzioni più interessanti per l’edilizia dal momento che questi materiali possono immagazzinare dalle 8 fino alle 20 volte più energia per unità di volume rispetto alle altre tipologie di accumulo termico. In altre parole è possibile realizzare dispositivi piccoli e compatti mantenendo elevata la capacità

I materiali termochimici più promettenti? Quelli basati su idrati di sale inorganici, ossia sali che possiedono all’interno della loro struttura cristallina molecole d’acqua combinate in un rapporto definito. Si tratta di composti economici e sicuri, che subiscono una reazione chimica solido-gas con vapore acqueo a temperature inferiori a 100 °C.

Come funzionano le batterie termiche al sale?

Le batterie termiche basate su idrati di sale termochimici sfruttano due fasi, l’idratazione e la disidratazione, per il loro ciclo di carica/scarica. Per la precisione durante la carica, il calore viene utilizzato per guidare una reazione endotermica che disidrata il sale producendo vapore acqueo. “Poiché l’energia viene immagazzinata all’interno della struttura chimica (calore di reazione), i TCM mostrano un’autoscarica trascurabile durante l’immagazzinamento, rendendoli promettenti per l’immagazzinamento di energia stagionale o a lungo termine“, scrivono gli scienziati del Georgia Tech.

Nella fase di scarica, l’energia immagazzinata viene ceduta sotto forma di calore attraverso una reazione esotermica tra il sale disidratato e il vapore acqueo (o aria umida) che riproduce l’idrato di sale originale.

Le sfide tecniche

Un processo ottimo sulla carta che tuttavia nella pratica incontra diversi problemi. Ad esempio ma man mano che avviene questo processo di idratazione e disidratazione, il sale viene sottoposto a un stress fisico, condannandolo nel tempo ad un cedimento meccanico. “Dopo aver attraversato alcuni di questi cicli […] si scompone in minuscole particelle e si polverizza completamente oppure si sovraidrata e si agglomera in un blocco“, spiega la professoressa Akanksha Menon, che guida il team.

Non solo. I dispositivi soffrono di reazioni incomplete e/o lente che si manifestano come valori bassi di energia o di densità di potenza, specialmente durante l’idratazione. 

Una batteria termica a doppio sale

È a questo livello che si inserisce la nuova ricerca. Menon e il ricercatore Erik Barbosa, dopo aver testato sali diversi per due anni consecutivi, hanno trovato due composti che si completavano bene a vicenda. Il cloruro di magnesio e il cloruro di stronzio. Il primo tende ad assorbire troppa acqua e il secondo a idratarsi troppo lentamente ma insieme possono superare i rispettivi limiti.

“Non avevamo pianificato di mescolare i sali”, afferma Menon. “Era solo uno degli esperimenti che stavamo provando. Poi abbiamo visto questo comportamento interattivo e abbiamo trascorso un anno intero cercando di capirne la causa e se fosse qualcosa che potevamo generalizzare per usarlo nell’accumulo di energia termica”.

La caratterizzazione di questi materiali è stata eseguita utilizzando analisi termogravimetrica simultanea (TGA) e calorimetria a scansione differenziale (DSC) con un generatore di umidità. La miscela di sali  – scrivono i ricercatori – ha raggiunto un’elevata densità di energia specifica di 1100 J/g e una potenza termica di picco di 1,4 W/g.

La ricerca del gruppo è appena iniziata ma sono stati già pianificati i prossimi passi. L’obiettivo è sviluppare le strutture in grado di contenere questi sali per realizzare vere batterie termiche ricaricabili.

È anche prevista una dimostrazione a livello di sistema, basata sul riempimento di un tamburo con sali in un reattore a letto impaccato. Facendo fluire aria calda sui sali, li si disidraterebbe caricando efficacemente il tamburo come una batteria. Per rilasciare quell’energia immagazzinata, verrebbe semplicemente soffiata sugli stessi aria umida reidratandoli.

I risultati della ricerca appaiono nell’articolo “Thermochemical energy storage using salt mixtures with improved hydration kinetics and cycling stability,” pubblicato su Journal of Energy Storage.

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.