Individuata l’origine dei problemi per le batterie allo stato solido ad alta densità
(Rinnovabili.it) – Le batterie agli ioni di litio a stato solido che impiegano un anodo di litio metallico in combinazione con un elettrolita ceramico, rappresentano una delle soluzioni di accumulo elettrochimico più promettenti. Piccole, leggere, compatte, queste unità di stoccaggio offrono sulla carta alta densità di energia e cicli di vita superiori ai prodotti in commercio. Ma di fronte a tanti vantaggi esistente un problema ancora aperto: l’alta sensibilità allo stress.
Durante in cicli di ricarica, l’interfase che si forma tra elettrolita ed elettrodi tende a favorire la produzione di dendriti sulla superficie del catodo. Si tratta di minuscole formazioni aghiformi che possono penetrare nell’elettrolita solido e cortocircuitare la cella. Fino a ieri la ricerca di settore non è stata in grado di definire in maniera univoca cosa provochi la formazione di dendriti; il che ha reso ardua anche la realizzazione di soluzioni per gestire tale stress. E ha allontanato le batterie a stato solido ad alta densità dal mercato.
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A far luce sul problema è oggi un gruppo di ricercatori del MIT e della Brown University, negli Stati Uniti. Il gruppo, guidato dal professor Yet-Ming Chiang, grazie all’impiego di una elettrolita solido trasparente ha potuto studiare ciò che avviene all’interno della cella. Nel dettaglio ha osservato come la crescita dei dendriti sia legata alle sollecitazioni meccaniche nell’elettrolita solido e non a fattori elettrochimici. Durante la carica e la scarica infatti, lo spostamento avanti e indietro degli ioni di litio fa cambiare il volume degli elettrodi. Se sono presenti dei difetti microscopici sull’elettrolita, la pressione su quest’ultimi del maggiore volume può causare crepe che a loro volta consentono la formazione dei filamenti aghiformi.
Il team ha dimostrato di poter manipolare direttamente la crescita dei dendriti semplicemente applicando una pressione all’elettrolita. Ciò non ne impedisce la formazione ma permette di indirizzare questi elementi affinché rimangano paralleli agli lettori e non attraversino la cella. Un altro approccio potrebbe essere quello di drogare il materiale con atomi che lo lascino in uno stato di stress permanente. “E’ lo stesso metodo utilizzato per produrre il vetro super duro degli schermi di smartphone e tablet”, spiega Chiang. La ricerca è stata pubblicata su Joule (testo in inglese).
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