Dal 2020 nel mondo delle ricaricabili si è fatto strada un “nuovo” concept: quello delle batterie a ioni idrogeno (H+), meglio note come batterie a protoni o protoniche. Sulla carta offrono un’alternativa innovativa e sostenibile nel campo dell’energy storage e sono state salutate come una delle potenziali soluzioni per lo stoccaggio elettrico di prossima generazione.
Merito di una serie di indubbi vantaggi: i protoni vantano un raggio ionico e una massa più piccoli di tutti gli altri elementi della tabella periodica, il che consente loro di diffondersi rapidamente. L’uso di ioni idrogeno permette di ottenere batterie con elevate densità di energia e di potenza e, ipotizzando una produzione su larga scala, con costi minori delle ricaricabili a ioni di litio.
Tuttavia, colmare il divario prestazionale tra teoria e pratica rimane una sfida. La ricerca di settore si sta focalizzando soprattutto su un aspetto cruciale per la buona riuscita di questa tecnologia: lo sviluppo di materiali per elettrodi ad alta capacità.
Gli ultimi progressi in tal senso arrivano dalla scuola di Chimica dell’University of New South Wales (UNSW), in Australia. Qui un gruppo di scienziati ha sviluppato un nuovo materiale organico da impiegare a livello dell’anodo nelle batterie a ioni idrogeno con una capacità specifica di 307 mAh/g. Un record per il settore.
Batterie a ioni idrogeno, come funzionano?
A livello generale le batterie a ioni idrogeno o batterie protoniche sono composte dall’elettrolita e dal materiale di accumulo di protoni (catodo/anodo). Semplificando al massimo, l’unità funziona tramite l’inserimento e la disinserimento dei protoni nel materiale ospite per realizzare le fasi di scarica e la carica. Tre i principali elettroliti impiegati: acidi, blandi o organici. Gli elettroliti acidi acquosi, come l’acido solforico (H2SO4), l’acido cloridrico (HCl) e l’acido fosforico (H3PO4), presentano una forte capacità di donazione di protoni, elevata conduttività ionica, presenza di anioni stabili e basso costo. Tuttavia, possono causare la dissoluzione del materiale dell’elettrodo e la corrosione dell’anodo.
“Le batterie ai protoni offrono molti vantaggi”, spiega Sicheng Wu, dottorando presso la Facoltà di Chimica dell’ateneo australiano. “Tuttavia gli attuali materiali degli elettrodi utilizzati per le batterie ai protoni, alcuni dei quali sono realizzati con materiali organici e altri con metalli, sono pesanti e comunque molto costosi”.
Nel dettaglio finora, tre tipi di gruppi organici, tra cui immine coniugate, chinoni coniugati e polimeri conduttivi, hanno dimostrato di avere una capacità di accumulo protonico reversibile. Ma è ancora difficile adattarli alla perfezione a questo tipo di batterie.
È qui che si inserisce la ricerca dell’UNSW. Il gruppo ha creato un nuovo materiale anodico partendo da una piccola molecola organica, chiamata Tetracloro-benzochinone (TCBQ), che include quattro gruppi cloro. Sebbene il TCBQ sia stato utilizzato in precedenza per progettare materiali per elettrodi, l’intervallo di potenziale redox (parametro fondamentale, correlato al flusso di elettricità) di questo composto è sempre risultato insufficiente: troppo alto per essere utilizzato come anodo, troppo basso come catodo.
Il nuovo anodo organico in TCBQ
Il team ha deciso di modificare il TCBQ sostituendo i quattro gruppi cloro con quattro gruppi amminici, e ottenendo così una molecola di tetraammino-benzachinone (TABQ). I forti gruppi amminici donatori di elettroni possono restringere efficacemente il gap di banda e abbassare i potenziali redox dei materiali chinonici. Il passaggio ha permesso quindi di aumentare la capacità del materiale di immagazzinare protoni.
“Se si guarda solo al materiale TABQ che abbiamo progettato, non è necessariamente economico da produrre al momento”, afferma il Prof. Zhao. “Ma poiché è fatto di abbondanti elementi leggeri, sarà facile e conveniente alla fine su una produzione di larga scala”. I ricercatori hanno testato il nuovo anodo in TABQ in una batteria a ioni idrogeno in combinazione con un catodo in TCBQ.
Il risultato? Il prototipo offre 3.500 cicli di carica/scarica, elevata capacità e buone prestazioni anche alle basse temperature. La ricerca è stata pubblicata su Angewandte Chemie International Edition.
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