Batterie al sale fuso, a 110°C mettono il turbo
(Rinnovabili.it) – “Volevo inventare qualcosa che fosse migliore delle batterie agli ioni di litio per l’immagazzinamento stazionario su piccola scala e, in definitiva, anche per gli [usi] automobilistici”. Con queste parole, il professor Donald Sadoway del Massachusetts Institute of Technology (MIT), spiega la scintilla alla base del nuovo lavoro condotto assieme ad altri 15 scienziati negli USA, Cina e Canada.
Il nutrito team ha messo mano al design delle batterie ricaricabili per innovare ricetta e architettura. Nascono così le batterie al sale, alluminio e zolfo, dispositivi low cost e sicuri, in grado di funzionare anche ad alte temperature. Nel dettaglio, il gruppo ha optato per una cella costituita da un elettrodo in alluminio, uno in zolfo e sale di cloro-alluminato fuso come elettrolita. Tutti questi ingredienti sono economici e comuni, ma soprattutto non sono infiammabili, annullando dunque il rischio di incendi o esplosioni dei dispositivi. Il sale è stato scelto dai ricercatori perché dotato di un basso punto di fusione, ma ha mostrato di possedere anche un altro vantaggio: previene naturalmente la formazione di dendriti.
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Nei test effettuati gli scienziati hanno dimostrato che le batterie al sale, alluminio e zolfo potrebbero sopportare centinaia di cicli a velocità di carica eccezionalmente elevate. E con un costo previsto per cella di circa un sesto rispetto quello degli ioni di litio. Hanno dimostrato anche che la velocità di ricarica dipende fortemente dalla temperatura di lavoro. A 110°C la carica delle batterie era fino a 25 volte più rapida di quella a 25°C.
Il dispositivo non richiede alcuna fonte di calore esterna per mantenere la sua temperatura di esercizio. Il calore è, infatti, prodotto naturalmente durante il funzionamento. “Quando la carichi, genera calore e questo impedisce al sale di congelarsi. Stessa cosa quando la scarichi”, sottolinea Sadoway. Il team afferma che questo design sarebbe adatto a una scala di poche decine di kilowattora, come nel caso dell’accumulo domestico. Oppure alle colonnine dei veicoli elettrici, grazie alla loro ricarica rapida. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Nature (testo in inglese).
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