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Batteria di flusso al fluorenone, con un pizzico di zucchero è record

Grazie ad un additivo alimentare un gruppo di scienziati del PNNl è riuscito ad aumentare notevolmente la capacità e la longevità di una nuova batteria di flusso

Batteria di flusso al fluorenone
Credits: Foto di Andrea Starr | Pacific Northwest National Laboratory

Salto di qualità per la batteria di flusso al fluorenone

(Rinnovabili.it) – Basta un poco di zucchero e la batteria di flusso segna un nuovo record. È successo nei laboratori del Pacific Northwest National Laboratory (PNNL), negli Stati Uniti, dove un gruppo di ricerca ha realizzato una speciale batteria di flusso al fluorenone che ha mantenuto la sua capacità di immagazzinare e rilasciare energia per più di un anno di carica e scarica continua. I risultati raggiunti sono stati descritti in uno studio appena pubblicato sulla rivista Joule. L’articolo riporta in dettaglio il primo utilizzo nell’architettura cellulare di uno zucchero semplice chiamato β-ciclodestrina, un derivato dell’amido oggi usato come additivo alimentare. Ma per comprenderne l’impiego bisogna fare qualche passo indietro.

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Cosa sono le batterie di flusso?

Le batterie di flusso sono una tecnologia di accumulo elettrochimico che rilascia energia elettrica attraverso l’ossidazione e la riduzione reversibili dei fluidi di lavoro. Il concetto è nato negli anni ’70, ma solo con il nuovo secolo e il crescente interesse verso il mondo dello stoccaggio energetico, la tecnologia ha preso vigore.

A differenza delle ricaricabili più tradizionali, le flow battery possiedono due serbatoi di alimentazione esterni contenenti rispettivamente l’anolita e il catolita. Ossia i fluidi elettroliti in cui sono disciolte le sostanze elettroattive. Per fornire elettricità, ossia la fase di scarica, i liquidi sono pompati nella cella elettrochimica centrale, dove avviene la reazione di ossido-riduzione. La ricarica si effettua con il procedimento opposto. Questa architettura fa sì che la capacità d’accumulo dipenda dal volume del serbatoio (più è grande, maggiore sarà l’energia stoccata) e dalla concentrazione degli elettroliti. La potenza invece è in funzione esclusivamente della superficie della membrana della cella.

Flow battery, vantaggi e svantaggi

Ma a fronte di vantaggi ineguagliabili in termini di scalabilità e flessibilità di progettazione, nonché dell’indipendenza tra l’energia accumulata e la potenza erogata, questa tecnologia si scontra con diversi ostacoli. In generale le batterie di flusso possiedono celle di grandi dimensioni con componenti voluminosi per prestazioni elevate, che si traducono in una bassa densità di potenza volumetrica, ingombro e costi di capitale elevati. Non solo. Sebbene esistano molti progetti in atto e alcune installazioni commerciali, quelli che hanno raggiunto il mercato si affidano ancora al vanadio, minerale costoso e difficile da ottenere. Perché? Perché è quello capace di offrire le migliori prestazioni.

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Un pizzico di zucchero per le batterie di flusso al fluorenone

Il team del PNNL voleva un’alternativa al vanadio che fosse altrettanto efficace, ma facile da sintetizzare e stabile. La scelta è ricaduta sul fluorenone un composto organico usato, tra le altre cose, per produrre farmaci antimalaria e candele. Ma questa molecola non era abbastanza solubile in acqua né mostrava reversibilità redox in soluzioni acquose; quindi come prima cosa gli scienziati del PNNL hanno dovuto creare una serie di complessi passaggi chimici per trasformare il fluorenone in un composto redox reversibile e solubile in acqua. 

Tuttavia per ottenere una batteria di flusso al fluorenone da record, le prestazioni dovevano essere aumentate. Il team ha aggiunto β-ciclodestrina, composto in grado di accelerare la reazione di ossidazione e migliorare la cinetica complessiva della batteria.

In una serie di esperimenti, gli scienziati hanno ottimizzato il rapporto tra le sostanze chimiche nel sistema fino a raggiungere il 60% in più di potenza di picco. Quindi, hanno fatto funzionare la loro unità più e più volte per oltre un anno, interrompendo l’esperimento solo con la rottura di un tubicino di plastica. Durante tutto quel tempo, la batteria a flusso al fluorenone ha dimostrato una perdita di capacità minima.