(Rinnovabili.it) – Quando si parla di batterie di flusso, il vanadio rimane la prima scelta. Grazie ai suoi quattro diversi stati di ossidazione in soluzione, questo metallo di transizione rappresenta la coppia redox quasi perfetta per tali batterie. Quasi. Si tratta, infatti, di un materiale particolarmente costoso che nei sistemi di storage porta rapidamente la spesa a circa 400–500 dollari su kWh. E, elemento non trascurabile, proviene principalmente da Russia e Cina.
Per rendere le flow battery un’opzione commerciale su larga scala è, invece, necessario puntare su elettroliti economici e facili da reperire. Nasce con questo obiettivo la ricerca condotta nei laboratori dell’Imperial College London. Qui un gruppo di ingegneri e chimici ha creato una nuova batteria di flusso che impiega materiali a basso costo e ampiamente disponibili.
Nel dettaglio il team ha usato come elettroliti l’aria da un lato e un polisolfuro (zolfo disciolto in una soluzione alcalina) dall’altro. L’approccio in sé non è nuovo. Le batterie polisolfuro-aria sono note ma al tempo stesso hanno sempre mostrato prestazioni molto limitate. La causa? La tradizionale membrana delle batterie di flusso non riesce ad impedire il passaggio del polisolfuro dalla sua “sede” a quella dell’ossigeno; fattore che porta all’autoscarica e al rapido decadimento della capacità.
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Per risolvere il problema, gli scienziati hanno utilizzato due membrane per separare il polisolfuro e l’aria, con una soluzione di idrossido di sodio in mezzo. Il vantaggio di questo design è che tutti i materiali usati sono relativamente economici e facilmente reperibili. Oltre, ovviamente ad un miglioramento complessivo delle prestazioni finali.
Se confrontata con i migliori risultati ottenuti fino ad oggi da una batteria di aria-polisolfuro, la nuova architettura riesce a fornire una potenza significativamente maggiore. Per la precisione, fino a 5,8 milliwatt per centimetro quadrato. Ad un costo – il prezzo dei materiali di stoccaggio in relazione alla quantità di energia immagazzinata – di circa 2,5 dollari per kWh.
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Molto più alto quello legato alla potenza – il tasso di carica e scarica raggiunto in relazione al prezzo delle membrane e dei catalizzatori nella cella – che risulta essere di circa 1600 dollari per kW. “Questo [valore] – scrive l’Università in una nota stampa – è attualmente più alto di quanto sarebbe fattibile per l’accumulo energetico su larga scala, ma il team ritiene che ulteriori miglioramenti siano velocemente realizzabili”. Lo studio è stato pubblicato su Nature Communications.