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Accumulo termico trimodale: ecco il materiale rivoluzionario

Accumulo termico trimodale: ecco il materiale rivoluzionario
Credito: “Trimodal thermal energy storage material for renewable energy applications” – Nature (2024). DOI: 10.1038/s41586-024-08214-1

Il materiale tre-in-uno per lo stoccaggio termico

Arriva dall’Australia un nuovo e sorprendente materiale in grado di offrire un accumulo termico trimodale per immagazzinare energia in maniera economica e sostenibile. Succede nei laboratori di chimica della Monash University, dove un gruppo di scienziati ha scoperto il primo composto in grado di conservare sinergicamente grandi quantità di energia termica integrando tre distinte modalità di accumulo: latente, termochimica e sensibile.

Il campo in cui si è mossa la ricerca è quello thermal energy storage (TES), area tecnologica che oggi si affida soprattutto su i tre approcci citati. Vediamoli nel dettaglio.

Accumulo di calore sensibile

Questo metodo immagazzina energia termica attraverso l’aumento o la diminuzione della temperatura di un mezzo di accumulo. Il processo si basa sul principio fisico per cui ogni sostanza ha una capacità termica specifica, ovvero la quantità di energia necessaria per aumentare di un grado la temperatura di un’unità di massa di quella sostanza. Sfruttando questa proprietà, si scelgono materiali con un’elevata capacità termica, come i sali fusi, oli, cemento, rocce calde o alcuni metalli che possono assorbire grandi quantità di calore senza subire significative variazioni di stato.

Accumulo di Calore Latente

Questo metodo di stoccaggio termico sfrutta il passaggio di stato di particolari materiali, chiamati Materiali a Cambio di Fase (PCM- Phase-Change Material). Durante questa transizione, il materiale assorbe o rilascia una grande quantità di calore senza subire variazioni significative di temperatura. Sono PCM  alcuni sali, polimeri, gel, cere di paraffina, leghe metalliche e leghe di semiconduttori e metalli.

Accumulo di Calore Termochimico

Questo metodo di accumulo dell’energia termica sfrutta reazioni chimiche reversibili. In fase di “carica” il sistema assorbe calore che, a sua volta rompe i legami chimici della sostanza di accumulo. I prodotti di reazione (molto reattivi) così ottenuti vengono separati. In fase di scarica quest’ultimi vengono nuovamente miscelati, i legami si riformano, la sostanza riacquista la forma originale e il sistema rilascia calore. Per l’accumulo termochimico sono impiegati solitamente alcuni ossidi, sali (es. Cloruro di nitrosile), zeoliti, gel di silice e molecole organiche (es. norbornadiene)

Il nuovo materiale per l’accumulo termico trimodale

Il team dell’ateneo australiano è riuscito ad ottenere il primo materiale di accumulo termico trimodale, ossia capace di integrare tutti e tre gli approcci sopra descritti. Il composto in questione è una miscela di acidi borico e succinico, che subisce una transizione a circa 150 °C. Nel dettaglio l’acido borico fonde subendo simultaneamente la disidratazione in acido metaborico e acqua che si dissolvono nel liquido. Essendo trattenuto allo stato liquido, l’acido metaborico si reidrata facilmente per riformare l’acido borico durante il raffreddamento.

Il materiale può immagazzinare 600 MJ/m3 di energia termica, ovvero una quantità quasi doppia rispetto a quella stoccata da molti materiali esistenti.

“Questo composto rappresenta un importante passo avanti nell’accumulo di energia termica”, ha affermato l’autrice principale dello studio, la dott.ssa Karolina Matuszek della Facoltà di Chimica dell’Università di Monash. “Integrando tre distinte forme di accumulo di energia in un unico materiale, abbiamo raggiunto un livello di efficienza e prestazioni che in precedenza era irraggiungibile”.

Secondo i chimici il nuovo sistema trimodale apre nuove possibilità per la batteria Carnot, una tecnologia di accumulo che trasforma l’elettricità in energia termica e viceversa. “Uno dei grandi vantaggi di questo materiale è la sua sostenibilità. L’acido borico e l’acido succinico sono entrambi poco costosi e rispettosi dell’ambiente, rendendo questa una soluzione veramente ecologica”. La scoperta è stata descritta in dettaglio in uno studio pubblicato il 18 dicembre su Nature.

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