Verso un accumulo stagionale a 6 dollari per kWh
(Rinnovabili.it) – Le tradizionali batterie elettrochimiche sono perfette per rispondere velocemente alle esigenze della rete, conciliando momentanee differenze tra domanda ed offerta, o regolando la frequenza e la potenza. Ma per garantire la flessibilità del sistema energetico per periodi di tempo più lunghi, come settimane o addirittura mesi, sono necessari sistemi di accumulo stagionale. Impianti in grado di stoccare l’energia con efficienza e senza perdite fino al momento di utilizzo.
Alcuni scienziati del Pacific Northwest National Laboratory (PNNL) hanno escogitato un nuovo design per l’energy storage in grado di rispondere a questa esigenza. Nel dettaglio, il team ha messo a punto una batteria ibernante capace di conservare l’energia per mesi. La tecnologia impiegata per ottenere ciò, non rappresenta una reale novità. Si tratta delle cosiddette batterie a sali fusi, dispositivi che impiegano un sale come elettrolita, che è solido a temperatura ambiente ma scorre come un liquido quando riscaldato. Il loro punto di forza? Un’elevata densità di energia e di potenza.
L’energy storage firmato PNNL
La versione del PNNL migliora il design e punta tutto su materiali estremamente economici. Anodo e catodo sono rispettivamente piastre solide in alluminio e nichel, immerse in un mare di sale fuso. A quest’ultimo gli scienziati hanno aggiunto zolfo per aumentare la capacità. Inoltre, la nuova batteria possiede un separatore in semplice fibra di vetro al posto della più comune ma costosa ceramica. La ricetta porta ad una densità di energia teorica della batteria di circa 260 wattora per chilogrammo.
Il dispositivo d’accumulo stagionale viene caricato riscaldandolo a 180°C. Il successivo raffreddamento a temperatura ambiente solidifica il sale e congela gli ioni, bloccando l’energia fino a quando la batteria non verrà scaldata di nuovo.
I primi test hanno dato risultati più che soddisfacenti. La batteria del PNNL ha mantenuto il 92% della sua capacità per 12 settimane. Ma soprattutto vanta già un costo dei materiali di circa 23 dollari per kilowattora. Il team sta esplorando l’impiego del ferro, che è meno costoso, nella speranza di ridurre ulteriormente la spesa a soli 6 dollari per kilowattora. la ricerca è stata pubblicata su Cell Reports Physical Science.