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Symbola, la transizione verde non si raggiunge da soli

transizione verde

di Isabella Ceccarini

(Rinnovabili.it) – “Transizione verde e gusto del futuro. Per una nuova Italia”. La XIX edizione del Seminario estivo 2021 di Fondazione Symbola è stata aperta dal presidente della Camera di Commercio della Regione Marche, Gino Sabatini, con una constatazione positiva: «Cinque anni fa si iniziava a parlare di transizione ecologica, oggi abbiamo la fortuna di avere Vittorio Colao e Roberto Cingolani alla guida di due Ministeri (rispettivamente Innovazione tecnologica e Transizione digitale, e Transizione ecologica) che possono chiudere il cerchio per avere una nuova e bella Italia».

Cambia il rapporto tra ricerca e impresa

Con Maria Chiara Carrozza, presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, si entra subito nel vivo del tema. «Senza scienza e ricerca saremmo in grande difficoltà, le partnership pubblico-privato hanno permesso di sviluppare vaccini e terapie utili per il controllo della pandemia. La transizione verde chiede un cambio di paradigma. Per la prima volta si parla di produrre senza inquinare, nella quarta rivoluzione industriale entra la sostenibilità: coniugare lo sviluppo con la sostenibilità e fare della sostenibilità un’occasione di sviluppo saranno la grande sfida per la ricerca. Il CNR ha 8700 ricercatori che si confrontano su ricerca fondamentale, leadership industriale e innovazione sociale. Molti si occupano dei grandi ecosistemi, di biodiversità, di idrogeno: temi attuali sui quali il CNR è pronto a collaborare con il PNRR».

Per anni si è discusso del rapporto tra ricerca e impresa, oggi lo scenario sembra diverso e più aperto. Infatti, spiega Carrozza, «il CNR collabora con grandi imprese, corporate e microimprese. Sicuramente le PMI avranno difficoltà ad adattarsi ai nuovi contesti, il CNR deve aiutarle a riconnettersi con le grandi corporate per fare dei network italiani ed europei che siano in grado di raccogliere le sfide del futuro».

La forza delle aziende green

Ermete Realacci, presidente di Fondazione Symbola, delinea lo scenario della transizione verde nel contesto europeo: «L’Europa ha battuto un colpo. Prima della pandemia era partita con una scelta molto netta: puntare su coesione, transizione verde e digitale. Non è una scelta per rispondere ai pericoli ambientali o alle preoccupazioni dei giovani, è una scelta strategica in cui l’Italia ha molto da dire. Siamo la superpotenza europea dell’economia circolare: con il 79% di percentuale di riciclo sul totale dei rifiuti si risparmiano ogni anno 23 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio e 63 milioni di tonnellate di emissioni di CO2. L’economia sta cambiando, o si guida o si subisce; ci sono i rischi di non fare bene, ma ancora peggio è non fare niente».

La transizione verde pone sicuramente dei problemi, ma dobbiamo guardare agli esempi positivi delle aziende che, imboccando la strada green, sono diventate più forti. Realacci cita il caso di Enel: con la guida di Francesco Starace, Enel è diventata il più grande produttore al mondo di fonti rinnovabili, è l’azienda più quotata nella borsa europea, crea occupazione. Se Starace non avesse fatto questa scelta, quanti posti di lavoro sarebbero stati persi? «Affrontare con coraggio la crisi climatica è necessario, ma è anche l’occasione per rendere la nostra economia e la nostra società più a misura d’uomo e più capace di futuro, come è scritto nel Manifesto di Assisi». Sono parole che abbracciano un concetto nuovo di sviluppo, di economia gentile, che vanno oltre le politiche ambientali. Realacci cita Edison: «Se fossimo ciò che siamo capaci di fare rimarremmo letteralmente sbalorditi», convinto che con le sue energie l’Italia può sbalordire l’Europa e il mondo, fondere storia e bellezza con l’innovazione e affrontare le sfide poste dalla crisi climatica.

La visione strategica della qualificazione urbana e del territorio

Regina De Albertis, presidente di Ance Giovani ritiene che il settore delle costruzioni abbia un ruolo chiave nella sostenibilità: «Siamo chiamati alla sfida di cogliere le opportunità del PNRR per innovare e cambiare passo guardando al futuro, ma è urgente dare risposte in tempi brevi. Il futuro è fatto di infrastrutture e città green. Il valore di un’impresa è connesso al valore che genera per il sistema e la collettività; la sostenibilità è un obiettivo congiunto, chi fa impresa sia protagonista del cambiamento. Le istituzioni, però, devono essere pronte a dialogare, non a creare ostacoli. Servono regole chiare, semplificazione e sburocratizzazione, digitalizzazione e innovazione dei processi: un Paese più semplice è possibile se risponde in tempi rapidi alle istanze del mercato. Le regole devono accompagnare il cambiamento ed essere più flessibili per favorire i processi di transizione verde che abbiano lo sviluppo sostenibile come valore fondamentale».

La parola d’ordine sia rigenerazione, in una nuova visione strategica della qualificazione urbana e del territorio, perché il degrado del territorio si accompagna al degrado sociale. Per essere artefici di un cambiamento sostenibile, le imprese che intervengono nel recupero delle aree degradate devono essere sostenute con incentivi e sconto degli oneri, ha sottolineato De Albertis. La filiera delle costruzioni è lunghissima, l’economia circolare può essere strategica anche in questo settore. Pubblico e privato siano alleati per raggiungere un obiettivo comune di sviluppo sostenibile in cui può essere determinante l’impiego di materiali innovativi che migliorano le performance tecniche.

La transizione verde è inevitabile

Francesco Starace, presidente e amministratore delegato di Enel è abituato a guardare avanti e parla del progetto per rendere la Sardegna prima isola a zero emissioni. «Portarci ora il gas è tardivo, bisogna andare avanti con le rinnovabili». Nessuno può fare da solo, ed Enel ha fatto un accordo con Terna. «La scelta della Sardegna è tra andare indietro di venti anni e poi trovarsi in difficoltà o andare avanti e aspettare che gli altri la raggiungano; nel Mediterraneo altre isole ci stanno pensando, come le Baleari. È in corso una trasformazione industriale profonda che trasforma l’economia mondiale con un cambio di utilizzo dei materiali e dell’energia che travolge tutto il sistema. La transizione verde è difficile e inevitabile, può avvenire in maniera turbolenta o ordinata, se imboccata bene può portare benefici, specie a chi si muove prima. Crea nuova occupazione, stimola l’imprenditoria, è una transizione sistemica che copre tutti i settori, è in corso in tutto il mondo, richiede grandi capitali all’inizio e pochi costi di gestione dopo».

L’economia cambia e dobbiamo accompagnare il cambiamento. La transizione verde impone decisioni, da come convertire le persone a fare altri lavori alle aziende che devono cambiare modelli di business. Eppure, in Italia, 432mila imprese hanno fatto il grande salto e investito nel green negli ultimi cinque anni: quelle che hanno creduto nell’ambiente esportano di più, innovano di più, creano più posti di lavoro e sono più resilienti. Nei green jobs ci sono 3,1 milioni di occupati (ovvero il 13,4%).

In una transizione giusta nessuno va lasciato indietro

Possiamo velocizzare la transizione verde? Roberto Cingolani, ministro della Transizione Ecologica, spiega che «stiamo giocando una partita sull’asse del tempo. Negli ultimi 150 anni di esplosione demografica siamo passati da 1 miliardo a 8 miliardi di persone, e a luglio cominciamo a usare le risorse dell’anno successivo. La nostra impronta ecologica è destinata ad aumentare con l’aumento della popolazione, molti paesi chiedono di crescere secondo modelli insostenibili, ma sembra che ce ne siamo accorti da poco. Il costo dei danni del cambiamento climatico in dieci anni è stato di 1200 miliardi di dollari e 400mila vite perdute, si è cominciato a contabilizzare qualcosa che era solo nell’aria. Sapiens è comparso 130mila anni fa e tutto si è mantenuto in equilibrio fino a 200 anni fa, con l’arrivo del motore a scoppio la CO2 è aumentata di 1000 volte».

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Impossibile tornare indietro, possiamo solo bloccare e mitigare. È importante agire in fretta, ma se vogliamo costruire un modello di crescita per il Pianeta in un tempo troppo breve il sistema non si può stabilizzare, è un sistema debole. «Dobbiamo cambiare le infrastrutture del Paese con le energie rinnovabili, dobbiamo fare dieci volte di più ogni anno di quanto abbiamo fatto finora (quindi passare da 0,8 GW di potenza elettrica a 8GW). Il problema è burocratico: per avere un permesso passano 1500 giorni, arriva quando ormai il PNRR è alle spalle e quindi perdiamo i soldi».

Il primo problema da risolvere sono le regole certe, la semplificazione burocratica, la capacità di fare sul serio. Il fatto che i soldi vengono dall’Europa dà regole stringenti che vanno rispettate. Non c’è spazio per le ideologie, ci sono indicatori precisi, è tutto misurabile, dobbiamo arrivare all’obiettivo percorrendo quella strada. La seconda sfida è che in dieci anni dobbiamo cambiare la mobilità, la manifattura, la gestione dell’ambiente. Siamo un paese avanzato, ma la transizione è complicata, perché sia giusta dal punto di vista sociale deve essere graduale. «Trasformazioni così radicali mettono in discussione un intero sistema sociale: per me è fondamentale che siano protette le categorie più deboli. È impensabile che decine di migliaia di persone perdano il lavoro perché certe transizioni nell’industria si fanno in fretta. In una transizione giusta nessuno va lasciato indietro». 

Al G20 su Clima, Ambiente, Energia è difficile raggiungere un documento unificato: i paesi emergenti faticano ad accettare il fatto che siano posti limiti alla loro crescita, spiega Cingolani. L’Europa pesa per il 9%, spendiamo tantissimo per cambiare società e modello produttivo, ma le emissioni dei paesi emergenti lo annulleranno in un attimo. «Ci troviamo di fronte a un problema geopolitico immenso, serve una giusta lettura della sostenibilità. La transizione verde ha un prezzo altissimo che si colloca tra due estremi, o si muore di fame o si muore di ambiente. La sostenibilità non è solo ambientale ma anche sociale, il punto è trovare modi e tempi per accompagnare quella sociale. Il tempo della transizione è ineccepibile dal punto di vista ambientale, ma ci sono difficoltà nella riconversione di certi comparti industriali: se non è fatta bene, nei tempi corretti, pagheranno un prezzo enorme. Si deve vincere lo scontro ideologico sulla transizione verde, c’è chi mette troppi veti sulle tecnologie indispensabili in un “menù completo”. Servono tecnologie che compensano la produzione di CO2, che comunque ci sarà. Lo sviluppo si misura sulle competenze, non sui veti. Non basta dire che una cosa non si vuole fare, bisogna fare i conti e arrivare a un compromesso».

La determinazione dell’Unione Europea

«Dal gennaio 2020 l’Unione Europea ha investito moltissimo sulla propria identità verde. È stato appena varato il pacchetto Fit for 55 che fa parte di una strategia costruita intorno al Green Deal: 12 proposte legislative che avranno un percorso sicuramente lungo e controverso e vogliono rendere possibile l’accelerazione sulla neutralità climatica», ha affermato Paolo Gentiloni, commissario europeo all’Economia. Ci conforta sapere che altri Paesi si sono aggiunti a questo obiettivo UE, come Sudafrica, Corea del Sud, Cina, USA. «Se vogliamo gestire la transizione verde e non esserne travolti gli obiettivi devono essere ambiziosi ma devono fare i conti con la sfida sociale, che è fondamentale. La logica è di mitigazione dell’impatto e compensazione tra aree più o meno avanzate. Andare verso la transizione verde sarà duro, ma offre anche opportunità, a tutti spetterà capire come evitare le conseguenze sociali. L’Unione Europea avrà il gravoso compito di tenere insieme in equilibrio ambizione e collaborazione internazionale».

Una cosa è certa, nessuno può pensare di raggiungere la transizione verde da solo. «Servono valori e culture, empatia, tecnologia e bellezza. Servono le energie delle persone e quelle delle imprese. Serve coesione sociale: impossibile senza un ruolo forte del terzo settore, dei territori, delle comunità e delle istituzioni locali, a partire dai piccoli comuni» ha detto Ermete Realacci. E soprattutto nessuno potrà pensare di tirarsi indietro senza conseguenze, perché il costo di fare poco o nulla per la transizione verde sarà anch’esso sociale, e graverà sulle fasce più deboli dei singoli paesi e del Pianeta.

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