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Tessuti sostenibili, qual è la strategia di Bruxelles per chiudere il cerchio?

Due rapporti dell’Agenzia europea per l’ambiente (EEA) calcolano l’impronta ambientale e climatica di questo settore e indica le priorità per andare verso un consumo di tessuti sostenibili in ottica di economia circolare

Tessuti sostenibili: come trasformare il comparto tessile UE in ottica circolare
Foto di Uwe Jelting da Pixabay

C’è anche il cambio delle abitudini di consumo tra le priorità UE per tessuti sostenibili

(Rinnovabili.it) – Dopo cibo, casa e mobilità, l’attività di consumo con più impatto su ambiente e clima in Europa è quella dell’abbigliamento e del tessile in generale. Ogni europeo “consuma” ogni anno 15kg di prodotti tessili. Esclusi dal conto tappeti e tessuti per l’industria, si hanno 6kg di vestiti, 6,1kg di prodotti per uso domestico, 2,7kg di calzature. In tutto, 6,6 mln di t in Europa nel 2020. Due rapporti dell’Agenzia europea per l’ambiente (EEA) calcolano l’impronta ambientale e climatica di questo settore e indica le priorità per andare verso un consumo di tessuti sostenibili in ottica di economia circolare.

Rispetto ad altre categorie di consumo, il tessile europeo nel 2020 è responsabile per il terzo maggior peso sull’uso di acqua e suolo, e il quinto maggior peso riguardo all’uso di materie prime e alle emissioni di gas serra. “Per ogni persona media nell’UE, il consumo tessile ha richiesto 9 metri cubi di acqua, 400 metri quadrati di terra, 391 chilogrammi di materie prime, e ha causato un’impronta di carbonio di circa 270 kg”, scrivono gli autori del dossier. Aggiungendo un dato che non bisogna perdere di vista: “La maggior parte dell’uso delle risorse e delle emissioni ha avuto luogo fuori dall’Europa”.

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Per ottenere tessuti sostenibili, la priorità dell’UE dovrebbe essere partire dal design. Nel tessile è il design che permette di spostarsi rapidamente verso modelli di business circolari, spiega il rapporto dell’EEA. Qui i pilastri sono aumentare longevità e durata dei prodotti, in picchiata negli ultimi 20 anni a causa del fast fashion, il rincorrersi di nuove tendenze di moda che aumentano la domanda di nuovi prodotti e fanno calare la qualità. In media, il tempo d’uso di un capo d’abbigliamento è sceso del 36% dal 2000 a oggi, calcola l’EEA. E nel 40% dei casi in cui scartiamo un vestito, lo facciamo proprio per difetti o caratteristiche legate alla scarsa durabilità.

Un aspetto non secondario è integrare anche strategie di modifica del comportamento dei consumatori nella transizione dei tessuti sostenibili verso un’ottica pienamente circolare. Non servono solo più materiali ecosostenibili, dice l’EEA, ma anche sportelli per le riparazioni nei negozi stessi o in altri negozi convenzionati. Infine, va incentivato il riuso (oggi solo 1 europeo su 5 indossa abiti usati), ma anche il riciclo dei materiali che, a sua volta, richiede in prima battuta che i capi siano prodotti in modo aderente ai principi dell’eco-design.

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C’è poi il capitolo microplastiche. L’inquinamento degli ecosistemi da frammenti plastici inferiori ai 5 mm potrebbe essere ridotto con “processi di produzione alternativi e il prelavaggio degli indumenti nei siti di produzione con un adeguato filtraggio delle acque reflue”. Altre misure proposte dall’EEA: l’integrazione di filtri nelle lavatrici domestiche, lo sviluppo di detergenti più delicati, e in generale una migliore cura degli indumenti.