Uno studio internazionale, a cui ha partecipato anche il CNR, ha rivelato atolli di plastica lunghi fino a 20 km
di Paolo Travisi
Dal satellite visibili rifiuti di plastica che galleggiano nel nostro mare
Quanta plastica c’è nelle acque degli oceani? Ogni anno sono diffusi report e stime sulla quantità di rifiuti di polimeri che finiscono sul fondo oceanico, alterando l’ecosistema marino, o rimangono sulla superficie, creando gigantesche isole di plastica. Secondo un recente rapporto realizzato dall’Università canadese di Toronto e pubblicato sulla rivista scientifica Deep Sea Research Part I Oceanographic Research Papers, annualmente si registrano fino a 11 milioni di tonnellate di rifiuti in plastica.
La Muraglia Cinese non si vede, ma la plastica nel Mediterraneo si
Plastica che si concentra, per lo più, nelle aree intorno ai continenti e – come dicevamo – una buona parte dei rifiuti finisce sui fondali, dove con il tempo viene decomposta in frammenti più piccoli, che si mescolano ai sedimenti oceanici. Purtroppo la ricerca in questione non lascia margini di ottimismo per il futuro, perché i ricercatori ritengono che entro il 2040 il volume raddoppierà.
Dallo studio in questione facciamo un passo di lato. Chi non ha mai sentito, almeno una volta, la frase secondo cui la muraglia cinese, celeberrimo manufatto dell’uomo, sarebbe visibile anche dallo spazio. In tempi recenti, questa considerazione è stata smentita, ma invece, un nuovo studio internazionale – finanziato dal Discovery Element dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa) – che ha coinvolto istituti di ricerca di Spagna, Grecia, Regno Unito, Francia, Paesi Bassi a cui ha partecipato anche l’Italia con l’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche di Lerici (Cnr-Ismar) – ritiene che i satelliti attualmente in orbita possano essere usati per monitorare lo stato dell’inquinamento da plastiche del mare, nel caso specifico nel Mar Mediterraneo.
Striscia di plastica da record, lunga 20 km
Plastica in mare visibile dallo spazio? A quanto pare sì, visto che i ricercatori hanno analizzato – tramite supercomputer e algoritmi – circa 300.000 immagini scattate dai satelliti del programma Copernicus dell’Unione Europea, ogni tre giorni per un arco temporale di sei anni, con una risoluzione spaziale di 10 metri. Il risultato sono migliaia di strisce di rifiuti galleggianti di plastica piuttosto lunghe e dunque ben visibili.
Alcune, infatti, misurano una lunghezza di oltre un chilometro, mentre in casi record i satelliti hanno fotografato una striscia che ha raggiunto circa 20 km.
Lo studio, dunque, ha permesso di realizzare una mappatura dell’inquinamento dei rifiuti marini, nonostante i sensori dei satelliti utilizzati, non fossero così performanti, perché ovviamente, usati per altri scopi.
“Cercare aggregati di rifiuti di diversi metri sulla superficie del mare è come cercare aghi in un pagliaio. Nonostante i satelliti non specializzati, siamo riusciti a identificare le aree più inquinate e i loro principali cambiamenti nel corso di settimane o anni. Ad esempio, abbiamo osservato che molti rifiuti entrano in mare quando ci sono i temporali”, sottolinea Stefano Aliani, direttore di ricerca ed oceanografo di Cnr-Ismar.
Satelliti più performanti, maggiori informazioni sull’inquinamento da plastica
Queste strisce o lunghi filamenti di rifiuti, per essere rilevabili dai sensori satellitari della piattaforma Copernicus devono essere particolarmente aggregati ed avere lunghezze minime non inferiori ad una decina di metri. Gli scienziati chiamano queste formazioni galleggianti di plastica, windrows, chiazze o strisce e sono il risultato delle correnti convergenti sulle superfici marini, che ammassano i rifiuti, sintomo evidente – secondo i rilevamenti degli scienziati – che in quella specifica porzione di mare, l’inquinamento da polimeri ha raggiunto livelli particolarmente elevati.
L’esito della ricerca apre la strada ad un maggiore impiego della tecnologia satellitare per svolgere studi ancora più approfonditi sull’emergenza in atto, visto che i rifiuti di polimeri (stando alle previsioni) aumenteranno.
“La nostra capacità di rilevamento migliorerebbe enormemente se mettessimo in orbita una tecnologia di osservazione dedicata alla plastica. L’implementazione di un sensore ad alta risoluzione specificamente dedicato al rilevamento e all’identificazione di oggetti galleggianti di un metro di dimensione potrebbe essere utile anche in altre questioni rilevanti come il monitoraggio degli sversamenti di petrolio, perdite di carico dalle navi o attività di ricerca e salvataggio in mare”, spiega Giuseppe Suaria, ricercatore del Cnr-Ismar. Intanto, questa prima mappatura del Mediterraneo ha messo in evidenza che l’abbondanza di questi “atolli di plastica” è sufficiente per tracciare una tendenza temporale dell’inquinamento da plastica nelle acque del Mare Nostrum.