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Gli imballaggi sotto la lente della Settimana europea per la riduzione dei rifiuti

Settimana europea per la riduzione dei rifiuti
Foto di Nareeta Martin su Unsplash

Nata come un progetto LIFE+, la Settimana europea per la prevenzione dei rifiuti è diventata una campagna multistakeholder

(Rinnovabili.it) – Dal 18 al 25 novembre torna la settimana europea per la riduzione dei rifiuti (SERR) e si concentrerà sugli imballaggi per la seconda volta nella sua storia. Già l’edizione del 2016 aveva messo al centro questo tema, che oggi è letteralmente ineludibile. 

Infatti, gli imballaggi non sono stati ridotti in questi sette anni. Al contrario, sono aumentati a dismisura, sia sul fronte della produzione che su quello dei rifiuti. La spinta viene soprattutto dalla crescita dell’e-commerce, che ha messo le ali con la pandemia. La settimana europea per la riduzione dei rifiuti, giunta quest’anno alla sua 15esima edizione, ha lo scopo di sensibilizzare i cittadini sul forte impatto ambientale degli imballaggi

Si moltiplicheranno le iniziative in persona e on line per promuovere un comportamento di consumo più sostenibile. Associazioni, ricercatori e aziende, inoltre, racconteranno le alternative esistenti agli imballaggi più inquinanti e difficili da riciclare. Con uno sguardo all’economia circolare e alle buone pratiche di riutilizzo.

Un calendario sul sito della campagna europea raccoglie gli eventi organizzati in diversi paesi. 

Da progetto a campagna

La SERR è nata nel 2009 come progetto LIFE+ finanziato dall’Unione Europea. Il progetto coinvolgeva autorità pubbliche di tutta Europa disposte a unire le forze sulla prevenzione dei rifiuti. In Italia il partner principale era l’AICA, Associazione internazionale per la comunicazione ambientale. Nata in Piemonte nel 2003, raccoglie tra i soci i principali consorzi della raccolta differenziata.

Al termine del progetto LIFE+, la SERR ha ricevuto un secondo finanziamento UE. Dal 2017, poi, viene coordinata e sostenuta da un comitato direttivo formato da organizzazioni, aziende e amministrazioni pubbliche.

L’elefante nella stanza

“La domanda di imballaggi, insieme ai bassi livelli di riutilizzo e riciclabilità, determina il bisogno permanente di risorse primarie non rinnovabili”, si legge sul sito della SERR. Una visione che attribuisce quindi la responsabilità del problema ai consumatori. Non per nulla, la proposta è quella di sensibilizzarli a comportamenti migliori.

A questa narrazione se ne contrappone però un’altra, sostenuta da molte associazioni ambientaliste impegnate nella lotta alla plastica. Tra queste Greenpeace, secondo cui il problema non sta tanto nelle scelte di consumo, quanto nelle strategie produttive. Gli ambientalisti chiedono il divieto di prodotti monouso e regole severe che limitino la produzione di nuova plastica. Tocca alle istituzioni e alle imprese, in questa visione, rimboccarsi le maniche e trovare soluzioni da proporre ai consumatori. Non basta puntare sul riciclo e sulla raccolta differenziata, occorre risolvere il problema alla radice. Il che significa chiudere il rubinetto.

Plastica, l’indiziato speciale

Qualunque sia la narrazione più convincente, un dato è certo: la plastica è il materiale più “ingombrante” nel flusso degli imballaggi. Si tratta del materiale a maggiore intensità di carbonio. Eunomia, su dati Eurostat, ha stimato un totale di 1,8 tonnellate di CO2 emesse durante il ciclo di vita di una tonnellata di imballaggi in plastica. Seguono carta/cartone e vetro, che hanno emissioni rispettivamente di 809 e 565 kg di CO2 equivalente per tonnellata. Ultimo viene il legno, con 19 kg di emissioni nette di CO2eq per tonnellata. 
La mole degli imballaggi prodotti e non riciclati rischia di seppellire i target europei al 2025. L’allarme viene da una recente analisi della Corte dei Conti europea. Il packaging rappresenta circa il 40% della plastica utilizzata in UE e oltre il 60% dei rifiuti di plastica generati. Si tratta anche del segmento con il tasso di riciclo più basso.

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