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In Italia la produzione di rifiuti delle attività economiche cresce più del PIL

Legge di Bilancio rifiuti
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(Rinnovabili.it) – In Italia la produzioni di rifiuti generati dalle attività economiche cresce più del PIL: il nuovo studio REF, dati alla mano, lo dimostra. Ogni anno il nostro tessuto produttivo genera più di 80 milioni di tonnellate di rifiuti e il dato, da dieci anni, non fa che aumentare. Quali sono le attività economiche  maggiormente responsabili della produzione di scarti? Depurazione delle acque e gestione dei rifiuti hanno aumentato la percentuale di rifiuti prodotti del 109%, arrivando a 42 milioni di tonnellate. Il confronto con gli altri Paesi europei ci colloca tra gli Stati che producono più scarti ma questo – dice lo studio – dipende anche dalla mancanza atavica di materie prime. 

Produciamo più rifiuti derivanti dalle attività economiche di quanto cresca il PIL, quindi, e anche più velocemente. 

Come uscirne? Riducendo innanzitutto, ma anche potenziando i sottoprodotti, abbracciando l’End of Waste e instaurando meccanismi di simbiosi industriale. 

I dati sui rifiuti delle attività economiche in Italia

Tra il 2010 e il 2020 c’è stato un aumento dei rifiuti prodotti dalle attività economiche e una crescita della quota di questi scarti generata proprio dalla gestione dei rifiuti stessi; i dati degli anni successivi al 2020 confermano la tendenza. 

Nel 2020, a fronte di 174,9 milioni di tonnellate di rifiuti prodotti, il 46%, ovvero 81,1 milioni di tonnellate, provenivano dalle attività economiche, continuando la tendenza affermatasi negli anni precedenti. Gestione delle acque e dei rifiuti sono responsabili di 42,2 milioni di tonnellate di scarti, il 52% della quantità totale derivata dalle attività economiche, e le cifre sono cresciute senza interruzione nell’ultimo decennio (nel 2010 erano 20,2 milioni di tonnellate). La sola gestione dei rifiuti è passata dalla produzione di 17,9 milioni di tonnellate di scarti del 2020 ai 37,2 milioni di tonnellate del 2020. Dopo gestione acque e rifiuti, con il 29% si collocano le 23,4 milioni di tonnellate di rifiuti del manifatturiero. 

I rifiuti derivanti dal trattamento dei rifiuti – rifiuti secondari – sono complessivamente 25,3 milioni di tonnellate. A seguire troviamo gli 11,3 milioni di tonnellate di scarti di imballaggi, e poi fanghi e altri rifiuti liquidi, con 11,1 milioni di tonnellate. 

Obiettivo: disaccoppiamento

L’obiettivo condiviso per le attività economiche a livello comunitario è un disaccoppiamento tra la produzione di rifiuti e la crescita del PIL, traguardo ben lontano per il nostro Paese specie se messo a confronto con le grandi economie UE come Francia e Germania. Non solo la prospettiva di disaccoppiamento per noi è lontana, ma la distanza continua a crescere: i rifiuti delle attività economiche crescono il 30% in più del PIL e anzi, mentre negli ultimi dieci anni gli scarti crescevano del 21,5%, il PIL scendeva dell’8,2. Anche la Spagna è ancora lontana dal goal, ma ha risultati migliori dei nostri. 

Ma abbiamo anche un altro traguardo negativo: siamo il paese che, tra il 2010 e il 2020, ha avuto una maggiore intensità di produzione di rifiuti per unità di PIL, con il picco del 2020 dovuto in parte all’impatto del COVID. 

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Perché le nostre attività economiche producono più rifiuti degli altri stati UE?

Le attività economiche responsabili in misura maggiore della nostra produzione di rifiuti sono l’industria e i servizi che, soprattutto dal 2016, hanno discostato le nostre performance  da quelle degli altri stati comunitari per i rifiuti primari. Il manifatturiero domestico ha un ruolo rilevante, soprattutto se confrontiamo i nostri dati con quelli di Francia e Germania. Il position paper REF spiega bene che non è un’anomalia collegata necessariamente a una nostra minore attenzione, quanto al fatto che siamo più indietro nella gestione dei sottoprodotti e questo spesso fa in modo che gli scarti che potrebbero essere trattati come risorse vengano invece gestiti come rifiuti. 

Se confrontiamo la nostra produzione di rifiuti secondari con il PIL possiamo ben vedere che siamo al di sopra dei dati francesi, spagnoli e tedeschi e, guardando sul lungo, negli ultimi dieci anni abbiamo confermato questi numeri costantemente, soprattutto dal 2014: siamo i primi in Europa per produzione di rifiuti dal trattamento dei rifiuti. 

La percentuale maggiore degli scarti che produciamo sono residui della cernita meccanica dei rifiuti, combustibili e frazioni non compostate di rifiuti biodegradabili: è il 21%, pari a 16,8 milioni di tonnellate. 

Subito dopo ci sono i 4,6 milioni di tonnellate di fanghi e altri liquidi prodotti dal trattamento dei rifiuti, seguiti dai 3,9 milioni di tonnellate degli scarti minerali e dei rifiuti stabilizzati. 

Il fatto che abbiamo tanti rifiuti derivanti dalla cernita non è di per sé negativo – spiega il documento – perché siamo un Paese che eccelle nel riciclo ma ha poche materie prime, ma per abbassare questi numeri è necessario intervenire sulla cronica mancanza di impianti per chiudere il ciclo. Già il Piano Nazionale per la Gestione dei Rifiuti ha raccomandato di preferire impianti di recupero diretto a quelli di pretrattamento, così da massimizzare la valorizzazione energetica dei rifiuti e di migliorare la qualità della raccolta differenziata per diminuire il numero dei suoi residui. 

Secondo il REF la stessa direzione dovrebbe essere intrapresa nella gestione dei rifiuti delle attività economiche. 

Ci sono infine altre classi di rifiuti prodotti da attività economiche. Sono i fanghi, che costituiscono il 14% del totale e i residui di combustione, che equivalgono al 10%. 

Seguono i rifiuti in plastica, con 3,3 milioni di tonnellate pari al 4%, e i veicoli fuori uso, che rappresentano il 3% della quota totale. 

Suggerimenti di intervento

Il documento oltre ad analizzare i dati della produzione di rifiuti da parte delle attività economiche fornisce un insieme di indicazioni per raggiungere il disaccoppiamento tra scarti e PIL, che vanno dal migliorare l’ecodesign a una gestione più efficace dei sottoprodotti, oltre alle pratiche di simbiosi industriale. 

Si tratta dell’attuazione di strategie già previste dalle riforme PNRR relative ai rifiuti, il già citato Piano Nazionale di Gestione dei Rifiuti e la Strategia Nazionale per l’Economia Circolare, che vede la simbiosi industriale come fondamentale alla trasformazione dei modelli produttivi, insieme alla semplificazione di diversi iter burocratici e la definizione dei distretti circolari nelle linee guida del settore. 

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