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Quanto pesano i Bitcoin? Il problema (sottovalutato) dei rifiuti elettronici

L’economia della più celebre delle criptovalute, il Bitcoin, è l’emblema della potenza tecnologica del nuovo millennio, ma sfrutta processi del tutto novecenteschi. Si fonda sul mining, l’estrazione, e consuma enormi quantità di energia. Quali sono gli impatti sull’ambiente della non-moneta sponsorizzata da Elon Musk?

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di Matteo Grittani

(Rinnovabili.it) – Ed eccoci al quarto e ultimo episodio del focus sui Bitcoin e più in generale sulle criptovalute e sui loro impatti ambientali ed energetici sorprendentemente elevati. Nella prima parte di questo approfondimento abbiamo spiegato a grandi linee l’estrazione del Bitcoin, un processo del tutto “virtuale”, ma che necessita di quantità di energia enormi. Con il secondo round abbiamo visto come le attività di mining arrivino a consumare in un anno quanto Paesi medio-grandi come Svezia o Argentina, con implicazioni significative per il sistema energetico e climatico mondiale. Nel terzo appuntamento abbiamo affrontato il problema della riconversione di impianti di produzione di energia elettrica a fonti fossili dismessi. Una tendenza che vede non solo Cina e India in pole position, ma anche gli Stati Uniti, con centrali termoelettriche in primo luogo a carbone, spente da alcuni anni perché troppo inquinanti, che ritrovano nuova vita e diventano mining hub, centri di estrazione, in cui l’elevatissimo fabbisogno di energia elettrica per incrementare la potenza di calcolo viene soddisfatto rimettendo in funzione le grandi camere di combustione, che ricominciano a bruciare antracite con tanti saluti alla Transizione ecologica e al Green New Deal.

Oggi, con il quarto e ultimo episodio del focus ci concentreremo invece sull’ennesimo elefante nella stanza: il problema crescente degli e-waste, i rifiuti elettronici, ovvero provenienti dai dispositivi guasti, inutilizzati o sempre più spesso semplicemente obsoleti. Ogni anno, la sola generazione dei Bitcoin produce oltre 30 mila tonnellate di e-waste, una quantità simile a quella creata da una Nazione occidentale e altamente industrializzata come i Paesi Bassi.

Cosa sono gli Asics, progettati solo per estrarre Bitcoin

Diamo subito un’idea: ogni singola transazione di Bitcoin crea la stessa quantità di e-waste che si avrebbe se buttassimo due i-Phone nel cestino seduta stante. L’immagine non è completa senza specificare che ogni giorno ci sono circa 270 mila transazioni di Bitcoin nella blockchain. Immaginate allora che ogni anno l’equivalente in peso di rifiuti elettronici di tre Tour Eiffel venga gettato nel cassonetto. Supercomputer, chip e altro materiale ultra costoso (sia in termini economici che ambientali), che sarebbe da considerare di ultima generazione in qualsiasi contesto. Non in una “fabbrica” di Bitcoin, dove la fanno da padrone i minatori Asics, acronimo per Application Specific Integrated Circuit, dispositivi progettati unicamente per processare gli algoritmi dedicati al mining di Bitcoin con prestazioni elevatissime. Il punto è che solo gli Asics più nuovi e potenti sono in grado di garantire la necessaria velocità ed efficienza di calcolo e di conseguenza la profittabilità dell’investimento al miner che li acquista. Che significa? Semplice, i minatori del nuovo millennio, se vogliono star dietro alla potenza computazionale della blockchain devono continuamente sostituire i loro Asics con altri più nuovi e potenti. E così ogni anno centinaia di migliaia di Asics prendono la via della discarica dopo una vita utile di pochi mesi, dando luogo a una delle più imponenti (e di fatto inutili) dissipazioni di materiali, energia ed emissioni che qualsiasi attività antropica abbia partorito dalla Rivoluzione Industriale.

Ogni anno milioni di transazioni e 30 mila tonnellate di e-waste

C’è uno studio che a fine 2021 ha tentato di far luce su questo problema di cui poco si parla, ma che diventa sempre più visibile man mano che la platea dei miners aumenta. L’hanno concepito due tra i massimi “digiconomist”, ovvero esperti di economia e processi legati al mondo digitale: Alex De Vries e Christian Stoll. “La vita tipica per un device che estrae Bitcoin è limitatissima”, spiega Stoll, ricercatore al Center for Energy and Environmental Policy Research del Mit di Boston. Quanto? 1.29 anni, per la precisione. Nel 2020 il network dei Bitcoin ha processato 112 milioni di transazioni, che sembrano tante, ma sono in realtà una piccola parte rispetto ai 540 miliardi di transazioni effettuate con i servizi di pagamento tradizionali. “La nostra stima – procede Stoll – è che l’attuale ciclo di produzione dei Bitcoin faccia fuori ogni anni 30.7 mila tonnellate di apparecchiature tecnologiche”. Con un rapido calcolo, si tratta di 272 grammi di e-waste per transazione. La maggior parte di questi è composta da Asics, gli speciali chip dei minatori. Come se buttassimo nella spazzatura ogni volta due i-Phone 12 mini.

Il punto principale che sottolineano i due esperti è che a differenza della stragrande maggioranza dell’hardware che serve per far girare algoritmi a velocità competitive con il mercato (in campo finanziario, energetico ecc…), gli Asics non hanno alcun altro uso alternativo a quello del mining. In altre parole, una volta divenuti obsoleti non potranno mai essere riutilizzati per dare potenza di calcolo ad altri computer o essere reimpiegati in altri ambiti. I due ricercatori parlano di “e-waste problem”, il problema dei Bitcoin, come una grande spada di Damocle che pende sulle nostre teste con implicazioni potenzialmente distruttive sul sistema energetico e climatico mondiale. Stoll e De Vries sostengono che questa tendenza non potrà che peggiorare con il prezzo dei Bitcoin in aumento, visto che non farebbe altro che incentivare la dismissione di Asics, che diventerebbero non più competitivi in un mercato in rapida crescita. Il paper conclude che l’unica soluzione può essere solo quella di sostituire il processo di mining “nella sua interezza” con alternative più sostenibili. Alternative che, ad oggi, non sembrerebbero essere ancora state identificate.

In definitiva, quando qualche ente, broker o esperto offre un investimento in Bitcoin, pensiamo alla criptovaluta a 360 gradi, capiamone la complessità delle transazioni e del processo di mining e soprattutto teniamo in conto tutte le cifre di cui abbiamo parlato in questi quattro focus. Cifre che ci restituiscono un’immagine della non-moneta che offre potenziali guadagni ad alto rischio, ma che allo stesso tempo nasconde una mole concretissima di effetti sul sistema energetico e, in senso generale, sul nostro Pianeta. In breve, il Bitcoin necessita di grandi potenze di calcolo, quindi di grandi quantità di energia “densa” e “puntuale” (in altre parole fossile), il Bitcoin inquina, il Bitcoin fa risvegliare grandi impianti a carbone e a gas ormai dismessi, il Bitcoin genera una quantità di rifiuti elettronici ogni anno pari al peso di Tre Tour Eiffel.