E' il bilancio del Wwf Italia nel suo ultimo rapporto a un anno dall'inizio dell'emergenza sanitaria. Sono 7 miliardi le mascherine che vengono usate ogni giorno e la loro dispersione ha un gravissimo impatto sulle specie e sugli habitat
di Tommaso Tetro
(Rinnovabili.it) – La lotta al Covid-19 frena quella all’inquinamento della plastica. E’ questo il bilancio del Wwf Italia nel suo ultimo rapporto in cui prova ad approfondire il tema dopo più di un anno dall’inizio dell’emergenza sanitaria.
L’associazione racconta come nel biennio 2020-2021 ci sarebbe dovuta essere la svolta nella lotta ai rifiuti di plastica in natura ma il Covid ha riacceso la sfida, dal momento che “7 miliardi di mascherine vengono usate ogni giorno e la loro dispersione ha un gravissimo impatto sulle specie e sugli habitat”. Nel 2019 – rileva il Wwf – sono state 368 milioni le tonnellate di plastica prodotte globalmente. Ma c’è una buona notizia: “la produzione in Ue è, anno dopo anno, in leggera ma costante diminuzione”. Ce n’è anche una cattiva: “la plastica è ancora troppa e facciamo fatica a smaltirla; nel 2019 ne abbiamo prodotte ben 57,9 milioni di tonnellate, di cui il 40% è costituito da imballaggi”.
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Il problema delle mascherine. “Realizzate in fibre di plastica e usate in tutto il mondo nel tentativo di proteggerci e contenere i contagi, le mascherine monouso sono diventate l’emblema di quest’ultimo anno – osserva il Wwf – la sola Ue ne consuma circa 900 milioni al giorno: in peso sono circa 2.700 le tonnellate che finiscono tra i rifiuti (o disperse in natura). Peraltro, essendo costituite da plastica composita e potenzialmente infette, non possono essere avviate al recupero e riciclo”.
Quello che fa pensare è che “il brusco aumento della plastica” in era Covid-19 è dovuto anche a cambiamenti nelle abitudini di acquisto: “se pre-pandemia si stimava intorno al 40-45% il consumo di prodotti confezionati rispetto allo sfuso, con la pandemia si è arrivati al 60%. Il 46% delle persone che prima prediligeva lo sfuso è tornata ad acquistare prodotti imballati. Esistono invece studi che dimostrano come il virus sopravviva più di tutti sulla plastica, sebbene non sia dimostrata la trasmissione dell’infezione da imballaggi contaminati”. Poi i “lockdown hanno stimolato anche gli acquisti on-line e con essi gli imballaggi plastici dei prodotti e i servizi di consegna di cibo, aumentati in media del 56%. A favorire una maggiore produzione di plastica è entrato in gioco anche il drastico calo del prezzo del petrolio, che ha reso meno vantaggioso riciclare materiali plastici”.
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Secondo l’associazione “la mala gestione e la dispersione di questi usa e getta stanno acuendo il dramma dei rifiuti plastici che inquinano e soffocano oceani ed ecosistemi terrestri. In acqua, le mascherine tendono a galleggiare, ma ne esistono di più pesanti, che affondano o restano sospese a tutte le profondità. La mascherina dopo poche settimane di permanenza nell’ambiente si frammenta in microfibre, che possono accumulare e rilasciare sostanze chimiche tossiche e microrganismi patogeni”. E soltanto “nell’ambiente marino, il numero di specie colpite da rifiuti plastici è aumentato di oltre il 159% nel periodo 1995-2015 e nei due anni successivi, dal 2015 al 2018, è ulteriormente raddoppiato arrivando a circa 1.465 specie”.