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Tutti gli impatti ambientali della moda

Dal consumo di risorse all’inquinamento e al clima gli impatti ambientali della moda sono una piaga della società contemporanea

impatti ambientali della moda
Foto di Markus Spiske su Unsplash

I bassi tassi di riciclo non riescono a frenare gli impatti ambientali della moda

(Rinnovabili.it) – Consumo di acqua, inquinamento, emissioni e riciclo quasi a zero. Tutto è ancora da fare per ridurre gli impatti ambientali della moda, un settore che produce una quantità di rifiuti e microplastiche da far tremare le vene e i polsi. Grazie ai dati della Commissione Europea, tuttavia, siamo in grado di inquadrare il problema, primo passo per tentare di risolverlo. 

Consumo di risorse

Serve molta acqua per produrre tessuti, oltre a terra per coltivare cotone e altre fibre. Per realizzare una maglietta di cotone, secondo le stime, sarebbero necessari 2.700 litri di acqua dolce, sufficienti a soddisfare il fabbisogno potabile di una persona per 2,5 anni.

Nel 2020, il settore tessile è stato la terza maggiore fonte di degrado dell’acqua e di utilizzo del suolo. In quell’anno sono stati necessari in media nove metri cubi d’acqua, 400 metri quadrati di terra e 391 kg di materie prime per fornire vestiti e scarpe a ciascun cittadino dell’UE.

Inquinamento dell’acqua

Si stima che la produzione tessile sia responsabile di circa il 20% dell’inquinamento globale dell’acqua dovuto ai prodotti di tintura e finissaggio. Un singolo carico di biancheria in poliestere può disperdere 700 mila fibre di microplastica. La maggior parte delle microplastiche dei tessuti vengono rilasciate durante i primi lavaggi. 

Il lavaggio dei prodotti sintetici porta ogni anno all’accumulo di oltre mezzo milione di tonnellate di microplastiche sul fondo degli oceani. Oltre a questo problema globale, l’inquinamento generato dalla produzione di abbigliamento ha un impatto devastante sulla salute delle popolazioni locali, degli animali e degli ecosistemi in cui si trovano le fabbriche.

Emissioni alle stelle e riciclo alle stalle

Si stima che l’industria della moda sia responsabile del 10% delle emissioni globali di carbonio, più dei voli internazionali e delle spedizioni marittime messi insieme. Nel 2020 i prodotti tessili consumati nell’UE hanno generato emissioni di gas serra pari a 121 milioni di tonnellate.

Meno della metà degli abiti usati, nel frattempo, viene raccolta per essere riutilizzata o riciclata, e solo l’1% degli abiti usati viene riciclato in abiti nuovi. Mancano infatti tecnologie che consentano di riciclare gli abiti in fibre vergini. Mediamente gli europei scartano circa 11 chili di prodotti tessili l’anno. La maggior parte (87%) vengono inceneriti o smaltiti in discarica. Il resto viene esportato in paesi a basso reddito.

Soluzioni lontane

Le istituzioni europee stanno sforzandosi di trovare soluzioni. Le nuove strategie per affrontare il problema includono lo sviluppo di nuovi modelli di business per il noleggio di vestiti e la progettazione di prodotti in modo da facilitarne il riutilizzo e il riciclo (cioè la moda circolare). In generale si tenta di orientare il comportamento dei consumatori verso opzioni più sostenibili, senza però intervenire in modo deciso alla fonte.

Il Parlamento ha presentato idee per modificare le norme sui rifiuti tessili il mese scorso. La revisione della direttiva sui rifiuti introdurrà regimi di responsabilità estesa del produttore. Ciò significa in pratica che i produttori di prodotti tessili dovranno coprire i costi di raccolta differenziata, smistamento e riciclo. Inoltre, i paesi membri dovranno raccogliere separatamente la “frazione tessile” entro il 1° gennaio 2025 per organizzarne il riutilizzo, la preparazione per il riutilizzo e il riciclo. Toccherà però al prossimo Parlamento ratificare questa norma.

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