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Greenpeace lancia la petizione: stop plastica, salviamo i mari

Non basta riciclare correttamente la plastica, perché il problema sta già nella sua produzione e diffusione. Questa la denuncia di Greenpeace, che lancia la petizione “Stop plastica, salviamo i mari”.

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Non basta incentivare il riciclo della plastica: bisogna bloccare la produzione

(Rinnovabili.it) – Greenpeace ha lanciato la petizione Stop Plastica. Salviamo i mari. La ONG denuncia il livello elevato di inquinamento dei mari e l’assenza di politiche efficaci per contrastarlo: “ogni minuto, ogni giorno, l’equivalente di un camion pieno di plastica finisce negli oceani, diventando un pericolo per tartarughe, uccelli, pesci, balene e delfini”.

Dove vi immaginate tra vent’anni? Ovunque voi siate, un sacchetto di plastica disperso in questo momento in natura starà appena ultimando la sua degradazione. Se il termine di paragone diventano flaconi di detersivo o bottigliette, i tempi diventano tanto lunghi che nessuno di noi potrà vederli: 400 anni per i primi, 500 per i secondi.  

Se guardiamo a tutta la plastica prodotta dagli anni ‘50 a oggi, soltanto il 10% è stato riciclato, e le stime ci dicono che entro il 2035 la produzione raddoppierà i volumi rispetto al 2015, per triplicarli entro il 2050. 

La plastica tuttavia non è problematica solo per i processi di smaltimento: nel 99% dei casi, nel corso della produzione vengono impiegati petrolio e gas fossile. 

A partire da questi dati l’ONG ha denunciato l’insufficienza delle politiche governative, per due ordini di ragioni. La prima è che non bastano leggi nazionali ma è urgente l’elaborazione di una soluzione globale; la seconda è che anche le legislazioni più avanzate insistono sugli aspetti legati al riciclo e la fine vita dei prodotti, mentre secondo Greenpeace occorre interrompere la produzione. 

“Se non agiamo subito con un trattato globale, – dice il testo della petizione – le grandi multinazionali continueranno a produrre e vendere sempre più plastica monouso, ignorando i rischi per il pianeta e la nostra salute”.

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Perché serve una petizione per lo stop alla plastica

La plastica viaggia di continente in continente, determinando problemi ambientali in ogni fase del suo processo, dalla produzione allo smaltimento. Prodotta nel 99% dei casi con l’utilizzo di petrolio e gas fossile, finisce spesso per essere dispersa nell’ambiente, causando impatti sugli ecosistemi.

La più colpita è la fauna marina, dagli esemplari più piccoli ai più grandi: tartarughe, uccelli marini, balene, delfini sono solo alcuni degli animali che ogni giorno muoiono o vengono danneggiati a causa dell’inquinamento dei mari. La ONG spiega che il fenomeno colpisce in tutto 700 specie. 

Molti animali muoiono per soffocamento, scambiando i frammenti di plastica per cibo. Quelli che non muoiono, ne determinano l’ingresso nella catena alimentare umana. 

La percezione generale è che si siano raggiunti avanzamenti nella gestione dei rifiuti di plastica attraverso la raccolta differenziata e il riciclo, ma in realtà – spiega la ONG – gran parte di ciò che differenziamo in casa viene spedito all’estero, in Paesi più vulnerabili del Sud del mondo, o in Malesia e in Turchia, dove viene trattato in impianti inadeguati che generano inquinamento terrestre e marino, causando gravi impatti sulla salute delle popolazioni locali. 

La petizione di Greenpeace: Stop alla plastica

A gennaio di quest’anno nel nostro Paese è entrata in vigore la direttiva europea che vieta la vendita di prodotti monouso ma il Governo Italiano ha introdotto una lunga lista di deroghe ed esenzioni che insistono nel solco delle contraddizioni della stessa legge europea. L’attuale direttiva – denuncia Greenpeace – “non è del tutto efficace su molti prodotti usa e getta”, come i contenitori di alimenti o i prodotti per l’igiene.

La petizione “Stop plastica” esorta i decisori politici a trovare un accordo globale in seno alle Nazioni Unite per azzerare l’inquinamento di mari e oceani, definendo strumenti legalmente vincolanti per le aziende e i governi, e a vincolare le multinazionali a spostare i propri business su prodotti sfusi o con packaging riutilizzabile, e riportando a ogni singolo paese la responsabilità della gestione dei propri rifiuti.