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L’economia circolare diventa realtà con la nuova disciplina sui rifiuti

rifiuti
via depositphotos.com

di Bernardino Albertazzi 

Parte 1: I rifiuti di origine industriale, artigianale e dei servizi

Il 29 settembre 2020 è entrato in vigore il Dlgs 116 che ha modificato radicalmente, sia sotto il profilo quantitativo che sotto quello qualitatitivo, le disposizioni in materia di rifiuti del Dlgs 152/2006.

Il 1° gennaio 2021 è entrata in vigore la nuova definizione di rifiuti urbani, tra i quali si annoverano anche quelli di origine non domestica, ma ritenuti “simili” per natura e composizione.

Il Dlgs 116 ha  recepito la Direttiva UE 851/2018, che ha introdotto, tra le numerose modifiche:  la responsabilità estesa del produttore, una nuova  classificazione dei rifiuti urbani, degli speciali e degli “assimilati/simili” agli urbani, nonché una nuova  classificazione dei rifiuti pericolosi

I Rifiuti Urbani: la nuova definizione 

Il comma 8 dell’art. 1 del Dlgs 116/2020 ha modificato l’articolo 183, – in attuazione di quanto introdotto dall’art. 1, paragrafo 3, della direttiva 851/2018 e del criterio di delega, volto a riformare, in particolare, il sistema delle definizioni, come previsto all’articolo 16 comma 1, lettera c) della legge 117/2019 (Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea – Legge di delegazione europea 2018) – introducendo, tra le altre, la seguente definizione: – (lettera: b-ter) “rifiuti urbani”: 

        1.  i  rifiuti  domestici  indifferenziati  e   da   raccolta differenziata,  ivi  compresi:  carta  e  cartone,  vetro,   metalli, plastica, rifiuti organici, legno, tessili,  imballaggi,  rifiuti  di apparecchiature  elettriche  ed  elettroniche,  rifiuti  di  pile   e accumulatori e rifiuti ingombranti, ivi compresi materassi e mobili; 

        2. i rifiuti  indifferenziati  e  da  raccolta  differenziata provenienti da altre fonti che sono simili per natura e  composizione ai rifiuti domestici indicati nell’allegato L-quater  prodotti  dalle attività riportate nell’allegato L-quinquies; 

        3. i rifiuti provenienti dallo  spazzamento  delle  strade  e dallo svuotamento dei cestini portarifiuti; 

        4. i rifiuti di  qualunque  natura  o  provenienza,  giacenti sulle strade ed  aree  pubbliche  o  sulle  strade  ed  aree  private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua; 

        5. i rifiuti della  manutenzione  del  verde  pubblico,  come foglie, sfalci  d’erba  e  potature  di  alberi,  nonché  i  rifiuti risultanti dalla pulizia dei mercati; 

        6. i rifiuti provenienti da aree cimiteriali,  esumazioni  ed estumulazioni, nonché gli altri  rifiuti  provenienti  da  attività cimiteriale diversi da quelli di cui ai punti 3, 4 e 5. 

b-quinquies) la definizione  di  rifiuti  urbani  di  cui  alla lettera b-ter) rileva ai fini degli obiettivi di preparazione per  il riutilizzo e il riciclaggio nonché delle relative norme di calcolo e non pregiudica la ripartizione delle responsabilità in  materia  di gestione dei rifiuti tra gli attori pubblici e privati; 

b-sexies) i  rifiuti  urbani  non  includono  i  rifiuti  della produzione, dell’agricoltura, della silvicoltura, della pesca,  delle fosse settiche, delle reti fognarie e degli impianti  di  trattamento delle acque reflue, ivi compresi i fanghi di depurazione,  i  veicoli fuori uso o i rifiuti da costruzione e demolizione”. 

Se si vuole comprendere il significato delle norme di cui alle lett. b-quinquies) e b-sexies) , dobbiamo rifarci al “consideranda” n. 10 della Direttiva (UE) 2018/851, che detta:

Affinché gli obiettivi di preparazione per il riutilizzo e di riciclaggio si basino su dati affidabili e raffrontabili e i progressi nel perseguimento dei suddetti obiettivi siano controllati in modo più efficace, la definizione di «rifiuti urbani» nella direttiva 2008/98/CE dovrebbe essere in linea con la definizione elaborata a fini statistici da Eurostat e dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici (OCSE) e utilizzata ormai da vari anni dagli Stati membri nella comunicazione dei dati. 

I rifiuti urbani sono definiti come rifiuti domestici e rifiuti provenienti da altre fonti, come per esempio la vendita al dettaglio, l’amministrazione, l’istruzione, i servizi del settore della sanità, gli alloggi, i servizi dell’alimentazione e altri servizi e attività, che, per natura e composizione, sono simili ai rifiuti domestici.Pertanto, i rifiuti urbani dovrebbero comprendere, tra l’altro, i rifiuti della manutenzione del verde pubblico, come foglie, sfalci d’erba e potature di alberi, nonché i rifiuti risultanti dalla pulizia dei mercati e dalla nettezza urbana, come il contenuto dei cestini portarifiuti e la spazzatura, a eccezione dei materiali come la sabbia, la roccia, i fanghi o la polvere. 

Occorre che gli Stati membri provvedano a che i rifiuti prodotti da grandi attività commerciali e industriali che non sono simili ai rifiuti domestici non rientrino nell’ambito di applicazione della nozione di rifiuti urbani. 

I rifiuti della produzione, dell’agricoltura, della silvicoltura, della pesca, della costruzione e demolizione, delle fosse settiche, delle reti fognarie e degli impianti di trattamento, e dei veicoli fuori uso sono esclusi dall’ambito di applicazione della nozione di rifiuti urbani. 

Occorre intendere i rifiuti urbani come corrispondenti ai tipi di rifiuti figuranti nel capitolo 15 01 e nel capitolo 20, a eccezione dei codici 20 02 02 (terra e roccia), 20 03 04 (fanghi delle fosse settiche) e 20 03 06 (rifiuti della pulizia delle fognature), dell’elenco dei rifiuti stabilito dalla decisione 2014/955/UE della Commissione nella versione in vigore il 4 luglio 2018. 

I rifiuti che rientrano in altri capitoli di tale elenco non dovrebbero essere ritenuti rifiuti urbani, tranne nei casi in cui i rifiuti urbani siano sottoposti a trattamento e siano contrassegnati con i codici di cui al capitolo 19 dell’elenco. 

Gli Stati membri possono usare le categorie pertinenti dell’elenco dei rifiuti a fini statistici. 

La definizione di «rifiuti urbani» nella presente direttiva è introdotta al fine di definire l’ambito di applicazione degli obiettivi di preparazione per il riutilizzo e riciclaggio nonché le relative norme di calcolo. Essa è neutra rispetto allo stato giuridico, pubblico o privato, del gestore dei rifiuti e comprende pertanto i rifiuti domestici e quelli provenienti da altre fonti che sono gestiti da o per conto dei comuni oppure direttamente da operatori privati.”.

Il  Dlgs 116/2020 ha introdotto, mediante il comma 5 dell’art.6, una disposizione transitoria relativa alla nuova definizione di “rifiuto urbano”.  

Essa dispone che “al fine di consentire ai soggetti  affidatari  del  servizio  di gestione  dei  rifiuti il graduale  adeguamento   operativo   delle attività alla  definizione di rifiuto urbano, le disposizioni di cui agli articoli 183, comma 1, lettera b-ter) e  184, comma  2  e  agli allegati L-quater e L-quinquies, introdotti dall’articolo 8  presente decreto, si applicano a partire dal 1° gennaio 2021”. 

Vediamo ora quali sono le ragioni che hanno spinto il legislatore a concedere agli operatori del settore (aziende pubbliche e private, comuni) un termine per l’adeguamento alla nuova nozione di rifiuti “urbani”.

La nuova nozione di rifiuti speciali modifica anche quella di rifiuti urbani

A tal fine dobbiamo iniziare la nostra analisi dai cambiamenti introdotti dal Dlgs 116 (in questo caso non in recepimento della direttiva comunitaria) nella definizione di rifiuti speciali , di cui al comma 3 dell’art.183, ai sensi della quale sono rifiuti speciali: 

        a) i rifiuti prodotti nell’ambito delle  attività agricole, agro-industriali e della silvicoltura, ai sensi e  per  gli  effetti dell’articolo 2135 del codice civile, e della pesca; 

        b) i  rifiuti  prodotti  dalle  attività di  costruzione  e demolizione, nonché i rifiuti che derivano dalle attività di scavo, fermo restando quanto disposto dall’articolo 184-bis (che disciplina il sottoprodotto); 

        c)  i  rifiuti prodotti nell’ambito delle lavorazioni industriali se diversi da quelli di cui al comma 2; 

        d)  i  rifiuti   prodotti   nell’ambito delle lavorazioni artigianali se diversi da quelli di cui al comma 2; 

        e) i rifiuti prodotti nell’ambito delle attività commerciali se diversi da quelli di cui al comma 2; 

        f) i rifiuti prodotti nell’ambito delle attività di servizio se diversi da quelli di cui al comma 2; 

        g)  i  rifiuti  derivanti  dall’attività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue, nonche’ i rifiuti da abbattimento di fumi,  dalle  fosse  settiche  e dalle reti fognarie; 

        h) i rifiuti derivanti da attivita’ sanitarie se  diversi  da quelli all’articolo 183, comma 1, lettera b-ter); 

        i) i veicoli fuori uso.”

La norma evidenziata definisce la maggior parte delle  tipologie di rifiuti speciali, per sottrazione. Essa  afferma cioè che i rifiuti sono speciali “se diversi dagli urbani”, e dunque consente al produttore la possibilità di dimostrare che non sono speciali e dunque sono “urbani”. 

Viene affermato  invece che sono rifiuti speciali “in ogni caso”, e dunque senza che il produttore abbia la possibilità di dimostrare il contrario, le tipologie di rifiuti di cui alle lettere: a), b), g), i) del terzo comma dell’art.183.

Se si opera  una lettura combinata delle norme che definiscono i rifiuti urbani ed i rifiuti speciali, allora appare evidente che, con il Dlgs 116/2020, è stata introdotta una categoria di rifiuti che, pur derivando da attività tipicamente non domestiche, quali le lavorazioni industriali, le lavorazioni artigianali, le attività commerciali, le attività di servizio, possono essere classificati urbani. 

(a breve la seconda parte)

di Bernardino Albertazzi – Giurista ambientale

bernardinoalbertazzi@gmail.comwww.bernardinoalbertazzi.it

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