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Deposito nazionale delle scorie nucleari, pronta la mappa dei siti idonei

Sparita dai radar nel 2015, dopo 6 anni di ritardi (e una procedura di infrazione aperta in sede UE) Sogin pubblica la carta dei siti dove potrebbe sorgere il Deposito nazionale che ospiterà 78mila m3 di rifiuti radioattivi

Scorie nucleari:
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Sogin ha pubblicato la Cnapi con le 67 aree dove potranno essere stoccate le scorie nucleari

(Rinnovabili.it) – Dopo 6 anni di ritardi e tentennamenti, finalmente è pubblica la mappa dei siti potenzialmente idonei a ospitare il Deposito nazionale delle scorie nucleari (consulta la mappa). La Sogin, a società statale responsabile dello smantellamento degli impianti nucleari italiani e della gestione e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi, ha ricevuto il via libera dai ministeri competenti, Ambiente e Sviluppo economico, il 5 gennaio.

I ritardi dell’Italia

A cosa serve la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi)? E’ il primo passo per realizzare il sito di stoccaggio in sicurezza delle scorie nucleari e dei rifiuti radioattivi, come richiesto dalla direttiva 2011/70/Euratom del Consiglio europeo. Quest’ultima stabilisce che ogni paese adotti un programma nazionale per la gestione dei rifiuti radioattivi. La scadenza era l’agosto 2015. L’Italia – insieme a Austria e Croazia – non hanno rispettato i termini e lo scorso novembre la Commissione europea aveva aperto formalmente la procedura di infrazione.

L’altra data da tenere a mente è il 2025, quando ritorneranno indietro i rifiuti e le scorie nucleari che per anni l’Italia ha spedito in Francia e Gran Bretagna, dove sono state sottoposte a riprocessamento. Per allora, Roma deve dotarsi di un deposito nazionale adatto ad ospitare tutto il materiale radioattivo. La tempistica stimata per realizzarlo, però, varia dai 7 ai 10 anni: in altre parole, rispettare la scadenza del 2025 è sostanzialmente impossibile.

La Cnapi, però, è pronta da tempo. Almeno da inizio 2015. Quando la Sogin ha consegnato il documento al governo e all’Ispra, l’autorità di controllo ambientale. Identificava 100 aree potenzialmente idonee. Ma non è mai stato reso pubblico. E l’iter si è bloccato, con l’esecutivo che ha congelato la situazione in attesa di sviluppare tutte le valutazioni del caso.

Scorie nucleari, quali materiali nel Deposito nazionale?

Ritardi in gran parte dovuti al costo politico di una decisione così sensibile. Che caratteristiche avrà il Deposito nazionale per le scorie nucleari? Prima di tutto sarà un sito unico, affiancato da un Parco tecnologico, che occuperanno rispettivamente una superficie di 110 e 40 ettari (l’equivalente di circa 200 campi da calcio). Secondo i documenti pubblicati dalla Sogin sul sito dedicato, il deposito avrà una capienza di 78mila m3, prevede un investimento di circa 900 milioni di euro e, secondo le stime, genererà 4mila posti di lavoro per 4 anni di cantiere.

Che materiali saranno ospitati? Le scorie degli impianti nucleari (chiusi definitivamente dal 1990 in Italia) e attualmente stoccati in depositi temporanei sparsi per la penisola, ma anche rifiuti radioattivi di origine medico-ospedaliera o usati dalla ricerca. Secondo le indicazioni di Sogin, si tratta principalmente di rifiuti a bassa e media attività, già condizionati. Saranno ospitati in una struttura a matrioska formata da 90 costruzioni in calcestruzzo armato, al cui interno saranno alloggiati altri contenitori in calcestruzzo speciale che, a loro volta, sono il guscio protettivo per i contenitori metallici in cui si trovano effettivamente i rifiuti.

Tuttavia, sul sito del Deposito nazionale, si legge anche che “nel Deposito Nazionale, inoltre, saranno stoccati temporaneamente i rifiuti a media e alta attività, ossia quelli che perdono la radioattività in migliaia di anni e che, per essere sistemati definitivamente, richiedono la disponibilità di un deposito geologico”. La classificazione italiana, aderente a quella usata a livello internazionale, classifica i rifiuti a bassa o molto bassa attività come quelli che “nell’arco di 300 anni raggiungeranno un livello di radioattività tale da non rappresentare più un rischio per l’uomo e per l’ambiente”.

Tutti i siti considerati idonei

La soglia dei 300 anni è la chiave di volta nella scelta dei siti considerati potenzialmente idonei. Questi sono stati scelti in base a una serie di 25 criteri che individuano quelle zone dove presumibilmente lo stoccaggio è ritenuto sicuro per almeno 3 secoli. Escluse quindi le aree che possono essere soggette a eventi naturali come le inondazioni, o a sismicità elevata, o ancora quelle vulcaniche.

In tutto le zone sono 67, divise in alcuni cluster. Nelle regioni del nord, l’unica interessata è il Piemonte. Le aree individuate sono concentrate soprattutto attorno ad Alessandria, ma figurano anche Carmagnola e Caluso in provincia di Torino. Al centro sono evidenziati 2 grandi cluster, entrambi nel viterbese. Approssimativamente, il primo è in un quadrilatero compreso tra Montalto di Castro, Ischia di Castro, Tuscania e Tarquinia, mentre il secondo, a est del capoluogo, interessa Corchiano, Vignanello e Soriano nel Cimino. Due siti isolati invece in Toscana, rispettivamente a Campagnatico (Grosseto) e Pienza e Trequanda (Siena). Al sud i cluster si concentrano tra Basilicata e Puglia (Genzano di Lucania, Gravina di Puglia, Matera, Bernalda e Montalbano Jonico). Infine, entrambe le isole maggiori presentano siti considerati potenzialmente idonei. In Sicilia Segesta e Trapani nella parte occidentale e Butera (Caltanissetta) e Petralia Sottana (Palermo) in quella centrale. In Sardegna, 14 aree tra Siapiccia (Oristano) e Ortacesus (Sud Sardegna).

Come avverrà la scelta finale? Attraverso una procedura di consultazione pubblica. Per i prossimi due mesi  i documenti saranno consultabili. Poi, nei 120 giorni seguenti si terrà il cosiddetto seminario nazionale, che il ministero dell’Ambiente descrive come “l’avvio del dibattito pubblico vero e proprio che vedrà la partecipazione di enti locali, associazioni di categoria, sindacati, università ed enti di ricerca, durante il quale saranno approfonditi tutti gli aspetti, inclusi i possibili benefici economici e di sviluppo territoriale connessi alla realizzazione delle opere”.