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Rifiuti romani: la grande opportunità dell’economia circolare

In una ottica di economia circolare è necessario mettere in campo tutta una serie di tecnologie diverse, per costituire un sistema resiliente attraverso il quale ciascun materiale possa essere indirizzato annualmente al trattamento migliore in funzione dell’andamento del mercato delle materie seconde, per garantire il necessario equilibrio fra il massimo riciclo ed il miglior risultato economico ed energetico

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Foto di frozennuch da Pixabay

di Andrea Masullo

Sono più di 20 anni che si cerca di superare l’ignobile gestione dei rifiuti romani per lungo tempo affidata alla grande discarica di Malagrotta e di nuovo si propone la anacronistica contesa fra incenerimento e riciclo. 

In questi ultimi anni, alcune importanti novità hanno fortemente modificato il contesto della sfida. L’orientamento della Commissione Europea verso l’economia circolare e quindi il recupero di materia (2018/851/UE e 2018/852/UE), e la direttiva SUP sull’obbligo di riciclo delle bottiglie di plastica monouso (2019/904/UE), che definisce un obiettivo di raccolta del 77% delle bottiglie monouso entro il 2025 e del 90% entro il 2029. Inoltre, impone una tassa di 0,80€ per ogni kg di plastica non riciclato.

L’economia circolare ha due pilastri fondamentali: 

  1. privilegiare al massimo il recupero di materia, anche attraverso l’esclusione progressiva dal mercato di quegli imballaggi non riciclabili; 
  2. ridurre lo spreco di materia anche attraverso iniziative di prevenzione e riduzione della produzione di scarti.

Il recupero energetico

Il massimo recupero energetico ottenibile da un materiale di scarto si ottiene attraverso il suo riciclo; in tal caso, infatti, si risparmia tutta l’energia servita alla sua produzione: la energy embodied. Il recupero energetico, attraverso la distruzione dei materiali in un processo termico, riguarda solo il potere calorifico che è una piccola parte, fra il 30 e il 20%, della energy embodied. Per questo è preso in considerazione solo nella misura in cui non sia alternativo al recupero di materia; altrimenti si entra nella logica dell’economia lineare: produco-utilizzo-distruggo.

In una ottica di economia circolare è necessario mettere in campo tutta una serie di tecnologie diverse, per costituire un sistema resiliente attraverso il quale ciascun materiale possa essere indirizzato annualmente al trattamento migliore in funzione dell’andamento del mercato delle materie seconde, per garantire il necessario equilibrio fra il massimo riciclo ed il miglior risultato economico ed energetico. Il sistema deve essere resiliente anche nei confronti dei cambiamenti profondi che le citate direttive indurranno nei prossimi anni nelle tecniche e nei materiali di imballaggio, destinate a modificare fortemente anche la composizione merceologica dei rifiuti. La tendenza ad ottimizzare i flussi anche sul piano economico, rende il sistema capace di evolvere verso la massima efficienza utilizzando le migliori tecnologie disponibili sul mercato, riducendo di conseguenza il ricorso a trattamenti distruttivi di materia. 

L’opzione smaltimento rappresenta quindi un limite di efficienza dell’economia circolare, destinando parte del flusso di rifiuti ad un trattamento predefinito; essa, quindi, non è in grado di ottimizzare il sistema né di adeguarsi alle modifiche indotte dal mercato e dalle nuove direttive (assenza di resilienza). Fra i sistemi di smaltimento esistono tuttavia delle differenze qualitative sostanziali che consentono di definire una graduatoria nella loro idoneità a soddisfare le esigenze marginali dell’economia circolare.

La discarica 

Rappresenta il livello più basso di questa graduatoria, in quanto condanna alla totale e definitiva inutilità i materiali conferiti, implicando problemi di gestione e controllo per alcuni decenni per limitare la contaminazione delle matrici ambientali da parte dei prodotti della degradazione dei materiali. Dalla discarica è possibile solo un limitato recupero energetico attraverso la captazione del biogas prodotto dai rifiuti organici presenti. La discarica infatti è considerata una tecnica da evitare e da ridurre al minimo necessario verso una futura cancellazione, nelle strategie europee di transizione verso una economia circolare.

Ad un livello superiore rispetto alla discarica si pongono i trattamenti termici che trasformano il materiale originario non riciclabile in materiali del tutto diversi, utilizzabili nell’industria, e per la produzione di energia, oppure si limitano all’utilizzo del potere calorifico. Oggi il progresso tecnologico ci mette a disposizione diverse tecnologie.

L’incenerimento

Consiste in un processo di ossidazione in aria, che avviene in un forno a griglia in cui il materiale viene esposto ad una temperatura fra gli 800 e i 1.000°C, raggiunta e mantenuta grazie ad un apporto di metano ed alla temperatura sviluppata dai rifiuti trattati. La quantità di ossigeno presente nella camera di combustione (21% in aria), determina l’efficienza del processo. Minore è la quantità di ossigeno e maggiore è la probabilità che si formino prodotti intermedi inquinanti che si accumulano nelle ceneri e nei filtri. Prendiamo come riferimento i dati relativi all’inceneritore di Torino, di recente costruzione e delle dimensioni di quello recentemente ipotizzato per Roma, 600.000 t/a.

Nel 2021, trattando 565.022 tonnellate di rifiuti, l’impianto ha prodotto i seguenti rifiuti:

Ceneri pesanti (rifiuti speciali): 116.171 t

Ceneri leggere raccolte dai filtri (rifiuti pericolosi): 11.577 t

Altri rifiuti pericolosi (PSR): 8.478 t

Il processo genera ceneri pesanti pari al 20% in peso dei rifiuti trattati, e ceneri leggere ed altre sostanze accumulate nei filtri per un restante 3,5%. Quindi un inceneritore da 600.000 tonnellate produce ogni anno circa 140.000 t di rifiuti non eliminando il ricorso alla discarica ma riducendone la necessità a circa 1/4, aumentandone però la pericolosità in quanto trattasi di rifiuti speciali e pericolosi. 

Per quanto concerne il recupero energetico l’inceneritore di Torino, nel 2021, ha immesso in rete 620 kWh per ogni tonnellata di rifiuto trattato.

L’ossicombustione

E’ un processo di ossidazione che, a differenza dell’incenerimento, avviene in un ambiente saturo di ossigeno. Ciò consente di avere una ossidazione completa del materiale, riducendo di due ordini di grandezza il rischio di produzione di molecole inquinanti e rendendo le ceneri totalmente inerti e riconosciute dalla normativa come materie seconde e quindi direttamente riciclabili. La tecnologia è riconosciuta come best practice dalla Commissione Europea. Essa opera a temperature di 1.300-1.500 °C, che rendono ulteriormente improbabile la formazione di diossine; infatti, i valori di diossina risultano 100 volte inferiori al limite di legge. La completa ossidazione consente anche il massimo recupero energetico, superiore al 90% del potere calorifico. Il processo mantiene questi rendimenti anche con materiali di scarto delle raccolte differenziate e sottovaglio di impianti di selezione e separazione. Gli inceneritori che recuperano dal 30 al 90% del potere calorifico, per ottenere significative produzioni energetiche hanno bisogno di trattare il tal quale contenente elevate percentuali di plastica e carta, materiali con elevato potere calorifico, sottraendole al riciclo in contrasto con la gerarchia dell’economia circolare.

La pirolisi

A differenza dei due processi precedenti la pirolisi è un trattamento termico effettuato in ambiente povero di ossigeno. In tal caso non c’è ossidazione ma una trasformazione chimica del rifiuto in prodotti per l’industria chimica ed energetica: olio combustibile, etanolo ecc., oltre a un gas con modesto potere calorifico, che si può usare per alimentare il processo. Infine, produce delle ceneri pesanti che solo dopo verifiche analitiche potrebbero essere utilizzate come materiale da costruzione. E’ una tecnologia utilizzabile per il trattamento di scarti omogenei degli impianti di separazione, o di materiali delle raccolte differenziate che a causa di fattori temporanei di mercato non trovano una conveniente collocazione sul mercato delle materie seconde che ne giustifichi il costo di raffinazione.

Per una corretta chiusura di un sistema di economia circolare è necessario lasciare la massima elasticità di ottimizzazione al riciclo di materia, attraverso una serie di piccoli impianti di trattamento del rifiuto residuale, che applichino i tre tipi di tecnologie senza una scelta unica e di dimensioni eccessive. Piccoli moduli non superiori alle 100.000 tonnellate possono garantire tempi brevi di realizzazione coerenti con la grave criticità dell’attuale sistema e quella resilienza necessaria ad accompagnare il radicale e veloce cambiamento nelle politiche dei materiali, nelle procedure di commercializzazione e distribuzione delle merci, dettate dalla crescente rilevanza delle crisi ambientali globali, e già previste dalle più recenti direttive europee.

L’errore peggiore che possa essere fatto oggi nel pianificare un sistema di gestione dei rifiuti è far riferimento ai dati del modello che si intende e si deve radicalmente trasformare, e ricorrere a tecnologie che per quanto perfezionate nelle performance ambientali ed energetiche, si basano su processi ormai datati, come i forni a griglia, superati dalla più recente innovazione tecnologica. Ciò fa correre il rischio di sovradimensionare la chiusura del sistema, interferendo negativamente sui suoi risultati e sulla sua ottimizzazione progressiva. In tal senso non deve essere trascurata l’ossicombustione in quanto garantisce la massima termovalorizzazione ed il riciclo delle ceneri. Partendo dai dati del presente bisognerebbe effettuare una previsione a 5 e a 10 anni e su di essa dimensionare l’impiantistica relativa al non riciclabile, con la possibilità di integrazioni e conversioni tecnologiche negli anni successivi.

di Andrea Masullo – Direttore Scientifico Greenaccord