Rinnovabili •

Veicoli fuori uso: la Direttiva UE verso il 2015

Si avvicina il primo traguardo ufficiale per l’unico riferimento normativo cui dal 2000 a oggi l’Unione europea si rifà per gestire il processo di raccolta, trattamento e recupero dei veicoli giunti a fine vita

(Rinnovabili.it) – Tre lustri per trasformare i veicoli giunti a fine vita da rifiuto a risorsa. Il 2015, infatti, è la prima tappa del percorso innescato dalla Direttiva europea 2000/53/EC (End of Life Vehicles – ELV), la normativa messa a punto per risolvere un problema con cui l’Europa si è trovata a fare i conti: gli 8-9 milioni di tonnellate di rottami generati ogni anno dallo smaltimento dei veicoli fuori uso. Proposta dalla Commissione Europea nel 1997, la Direttiva ha dovuto attendere 3 anni prima di essere ufficialmente adottata dal Parlamento e dal Consiglio europei e quindi pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 21 ottobre del 2000 ed è ancora oggi l’unico riferimento normativo nel settore. Nell’ottica di ridurre la quantità di rifiuti proveniente dal comparto dell’automotive, la Direttiva ELV ha privilegiato un approccio integrato che ha chiamato in causa case automobilistiche, demolitori e Istituzioni, e fissato due step di riferimento: il primo nel 2006, con l’obbligo di recuperare l’85% dei veicoli dismessi e di riciclarne almeno l’80%; il secondo nel 2015, anno in cui le quote di recupero e riciclo dovranno essere salite, rispettivamente, al 95% e all’85%.

 

Si tratta di obblighi cui gli Stati membri si sono dovuti adattare secondo precisi parametri ambientali, che hanno richiesto alle case automobilistiche la produzione di veicoli facilmente smontabili e smaltibili (creazione di una rete di raccolta e trattamento ELV, prescrizioni sull’impiego dei metalli pesanti e delle sostanze pericolose, obbligo di fornire informazioni sullo smontaggio dei veicoli, design adatto al recupero), ai demolitori garanzie ambientali sulle prassi di ritiro e trattamento e alle Istituzioni il sostegno per lo sviluppo delle infrastrutture atte al raggiungimento dei target fissati. Il recepimento della Direttiva da parte dei vari Stati membri, infatti, ha reso necessaria l’organizzazione di sistemi ad hoc per la raccolta e il trattamento di questa tipologia di rifiuti, dando priorità al riutilizzo e al recupero e rendendo la demolizione un processo standardizzato e certificabile. L’avanzamento di questo processo viene documentato ogni 3 anni attraverso una relazione che i rappresentanti dei vari Paesi inviano alla Commissione per dar conto dei progressi compiuti, cui fa seguito una contro-relazione della Commissione sul processo di attuazione della Direttiva.

 

La raccolta, il trattamento e il recupero in Italia

In Italia la Direttiva viene recepita nel giugno del 2003 con un Decreto Legislativo, il 209, poi modificato con il D. Lgs del 23/2/2006, il cui obiettivo era quello di creare i presupposti e le condizioni per lo sviluppo di una filiera di raccolta, recupero e riciclaggio dei veicoli fuori uso efficiente, razionale ed economicamente sostenibile. Facendo proprio quanto stabilito in sede comunitaria, la normativa italiana ha inizialmente individuato e disciplinato non soltanto le misure per ridurre la produzione di rifiuti e l’impiego di sostanze pericolose, prevenire il rilascio nell’ambiente di sostanze tossiche e facilitare, così come dettato dalla Commissione, il reimpiego, il riciclaggio e il recupero energetico, ma anche le prescrizioni da osservare nella progettazione e nella produzione dei veicoli, insieme ad altre azioni necessarie al raggiungimento degli obiettivi stabiliti.

Secondo quanto prescritto dalla normativa vigente in materia, il veicolo da demolire viene consegnato dal detentore al centro di raccolta, che provvederà a rilasciare un’apposita dichiarazione di presa in carico del veicolo, oltre all’assunzione di tutte le responsabilità civili, penali e amministrative, impegnandosi a cancellare il veicolo dal PRA e a consegnare targhe, certificato di proprietà e carta di circolazione; entro 60 giorni dalla data di consegna del veicolo, il centro di raccolta rilascia il certificato di rottamazione al detentore.
A questo punto inizia il trattamento vero e proprio del veicolo. Per prima cosa il veicolo deve essere messo in sicurezza per ridurre al minimo eventuali effetti nocivi sull’ambiente; rimossi o separati i materiali pericolosi per non contaminare i successivi rifiuti frantumati, si procede alla rimozione dei materiali etichettati (o resi identificabili) e allo smontaggio dei componenti da reimpiegare, riciclare e recuperare.
Per gestire correttamente i rifiuti provenienti dal veicolo fuori uso, la normativa italiana favorisce “il reimpiego dei componenti idonei, il recupero di quelli non reimpiegabili, nonché, come soluzione privilegiata, il riciclaggio, ove sostenibile dal punto di vista ambientale” (D. Lgs 149 del 2006).
In questo processo, il produttore del veicolo ha un ruolo centrale: oltre a mettere a disposizione dei centri di raccolta tutte le informazioni necessarie per la demolizione (descrizione di materiali, componenti e informazioni sull’ubicazione delle sostanze pericolose in esso contenute), egli deve anche informarli sulla demolizione, lo stoccaggio e la verifica dei componenti che possono essere reimpiegati.

 

Sono passati ormai quasi quindici anni da quando la materia era ancora “grigia” e solo alcune aziende all’avanguardia (come la FIAT in Italia, per esempio) avevano intravisto le potenzialità legate a questo genere di filiera. Oggi il comparto è una realtà consolidata a livello mondiale e tra meno di due anni si troverà nel bel mezzo del riesamino degli obiettivi previsti a livello comunitario. Oltre all’analisi delle carenze del mercato, saranno valutati anche gli eventuali ostacoli tecnologici da superare per poter puntare all’eco-innovazione, aspetto cui la Commissione tiene molto e che intende continuare a finanziare con iniziative di ricerca che puntino alla competitività. In attesa di vedere la risposta dell’Italia a eventuali nuove decisioni, viene da chiedersi se puntare sui veicoli fuori uso possa essere uno dei comparti su cui il Paese dovrebbe puntare per provare a uscire dalla crisi.

Successivo
Fukushima, due anni dopo