Industria e ricerca sono al lavoro per trovare la ricetta di un calcestruzzo sostenibile
(Rinnovabili.it) – Basta un poco di zucchero… per rendere il calcestruzzo sostenibile. Lo afferma un nuovo studio pubblicato su Sustainability da ricercatori del Dipartimento di Ingegneria civile e ambientale dell’Idaho State University.
Il paper mostra che si può sostituire parte del cemento presente nel calcestruzzo con carbonato di calcio precipitato (PCC). Questo è un prodotto di scarto che deriva dalla raffinazione dello zucchero di barbabietola. Utilizzarlo nell’edilizia fa sì che si mantenga la resistenza del calcestruzzo convenzionale, riducendo la quantità di cemento.
Il PCC è chimicamente identico alla sua versione naturale, il calcare, utilizzato per produrre il cemento. Quest’ultimo si ottiene infatti riscaldando calcare, argilla e altri materiali, poi macinati e ridotti in polvere. La produzione del cemento, tuttavia, è piuttosto inquinante. Secondo un report del 2018 del think tank Chatham House, il processo causa circa l’8% delle emissioni globali di anidride carbonica.
Di qui la spinta verso l’esplorazione di sostituti ecologici per ridurre il consumo di cemento nel calcestruzzo. L’idea dell’Università statunitense quindi è quella di un calcestruzzo sostenibile che elimini il calcare “tradizionale”. Il team di ricerca ha eseguito una serie di test su piccola scala su campioni di calcestruzzo, ciascuno con quantità variabili di PCC. I test hanno riguardato anche campioni di controllo di calcestruzzo convenzionale.
La scoperta è interessante, perché secondo la ricerca si può sostituire fino al 30% del cemento utilizzato per produrre il calcestruzzo con carbonato di calcio precipitato. Il tutto, senza finire al di sotto degli standard dell’American Society for Testing and Materials.
Anche se le prospettive sono promettenti, il processo ha bisogno di ulteriori test per passare alla fase in cui viene approvato. In particolare, i ricercatori dovranno fare delle prove di tenuta della nuova miscela in diverse condizioni. Si tratta, tra le altre cose, di capire quale capacità ha di resistere alle condizioni di gelo-disgelo per determinare la sua durabilità complessiva e se può funzionare fuori dal laboratorio.