La gran parte dei rifiuti tessili passa per le associazioni benefiche che li preparano al riutilizzo. Ma per tutto il resto manca una vera filiera
L’Italia sta cercando di accelerare il percorso verso una migliore raccolta differenziata e riciclo dei rifiuti tessili
(Rinnovabili.it) – Escludendo i tessuti industriali e tappeti, si può stimare in UE un consumo totale di tessuti di 6,6 milioni di tonnellate, che diventano rifiuti tessili. L’Agenzia Europea dell’Ambiente calcola che annualmente vengano raccolte separatamente tra 1,6 e 2,5 milioni di tonnellate di tessili post-consumo. Tra il 50 e il 75% viene riutilizzato all’interno dell’UE o esportato. La quota maggiore del rimanente viene riciclata, ma in prodotti di qualità inferiore (come stracci o pezzame). Fuori dai circuiti di raccolta, riuso e riciclo restano però almeno 4 milioni di tonnellate. La Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile sostiene che sia molto probabile che finiscano in flussi misti di rifiuti urbani per incenerimento o discarica.
Il meccanismo è figlio della fast fashion. Negli anni Novanta lo avremmo chiamato consumismo, ma è anche una logica di produzione, che spinge le aziende a mettere sul mercato prodotti di bassa qualità, a basso costo e destinati a una vita breve. Così, negli ultimi anni, si è finalmente deciso di accendere un faro sulla filiera del tessile e della moda, per assoggettarla a nuovi standard di progettazione, produzione e gestione dei rifiuti.
L’obiettivo dell’Unione Europea è che, entro il 2030, le aziende della moda producano capi più durevoli, che possano essere riutilizzati e riciclati più facilmente. Non è facile, viste le diverse tipologia di fibre che oggi compongono i nostri vestiti e altri prodotti, rendendoli difficili da disassemblare. L’approccio di Bruxelles si basa su una normativa che richiederà alle aziende di moda di pagare una tassa per il lavoro di raccolta dei rifiuti. Questo schema è denominato “responsabilità estesa del produttore” (EPR).
Italia pioniera, ma il settore va costruito da zero
Proprio sulla scorta di questa proposta, l’Italia si è portata avanti. Per dare gambe a investimenti economici e strategie europee, il governo ha pensato a uno schema di decreto sulla responsabilità estesa del produttore. Ancora il testo non è stato approvato, ma prevede il finanziamento e l’organizzazione della raccolta, dell’avvio a preparazione per il riutilizzo, del riciclo e recupero dei rifiuti tessili da parte dei produttori. Inoltre, dispone la creazione di una rete di raccolta su tutto il territorio nazionale. Verranno introdotti anche specifici sistemi di raccolta selettiva allo scopo di incrementare la qualità delle frazioni tessili. Il tutto, per raggiungere obiettivi incrementali: almeno il 25% in peso entro il 2025, il 40% entro il 2030 e il 50% entro il 2035.
Con l’obbligo di raccolta differenziata introdotto già nel gennaio 2022 (tre anni prima di quello europeo), l’Italia ha stimolato la nascita dei primi consorzi dedicati. Si chiamano Ecotessili e Retex.Green, Cobat tessile e Re.Crea. Le imprese potranno appoggiarsi a loro per la raccolta e avvio a riciclo dei rifiuti tessili.
Una filiera inesistente
Restano però diversi problemi per rendere operativa la filiera del recupero e del riciclo. Secondo le stime di ISPRA, oggi si raccolgono in Italia 154 mila tonnellate di vestiti e altri prodotti tessili. Un dato che vale appena lo 0,8% della raccolta differenziata nazionale ed è sei volte inferiore rispetto all’immesso al consumo in Italia. Inoltre, il 5,7% dei rifiuti urbani indifferenziati generati ogni anno è composto da prodotti tessili. Non c’è un vero e proprio sistema organizzato di trattamento e riciclo, né in Italia né in Europa. Ci sono paesi che raccolgono di più, come la Germania, ma anche chi non se ne cura affatto.
E allora dove vanno la gran parte dei rifiuti? L’idea è che da un lato esista un mercato del “second hand” che assorbe flussi di abbigliamento scambiati su internet oppure dati a negozi e mercatini in conto vendita. Parte dei materiali vengono esportati e riutilizzati in altri territori, diventando rifiuti in altri paesi.
In Italia, per migliorare le performance, il PNRR investirà circa 600 milioni di euro tra ammodernamento degli impianti di riciclo (450 milioni) e progetti faro di economia circolare (150 milioni) dedicati all’estensione della raccolta differenziata. Occorre infatti aggiornare gli impianti e la filiera del recupero a includere maggiori flussi di rifiuti fino ad oggi poco differenziati. Proprio come i prodotti tessili.
Come funziona oggi il riciclo dei rifiuti tessili
Il tessile che si raccoglie e che ha una seconda vita, in Italia ha comunque una sua filiera. Questa è basata soprattutto sui contenitori gestiti da organizzazioni non profit. In accordo con il sistema pubblico, le associazioni si occupano di posizionarli, manutenerli e svuotarli. A questo punto i rifiuti tessili vengono inviati presso gli impianti di trattamento, dove avvengono operazioni di selezione e cernita manuale. In questo passaggio vengono divisi i capi da destinare al riutilizzo da quelli che prendono la via del riciclo o dello smaltimento.
Le stime di Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile dicono che il 68% del capi sono in buone condizioni e possono essere reintrodotti sul mercato come abiti di seconda mano o donati a organizzazioni caritatevoli. Questo schema è praticamente lo stesso in tutta Europa: il cosiddetto “manual sorting”, cioè la cernita manuale, è la prassi. Nel nostro paese, dopo la cernita rimane un 30% di rifiuti tessili che prende la via degli impianti di recupero/riciclo autorizzati, per diventare pezzame per usi industriali oppure fibre tessili successivamente reimpiegate in altri settori, come la bioedilizia. La frazione tessile che non può essere riutilizzata o riciclata, è avviata a smaltimento. L’attuale riciclo per rifilatura dei prodotti tessili genera quasi interamente panni industriali e materiale da isolamento, imbottiture e tessuto non tessuto di bassa qualità.
Ad oggi in Italia esiste un solo impianto sperimentale di riciclo chimico dei rifiuti tessili, che si trova a Chieti. La tecnologia di depolimerizzazione adottata, permette di riciclare chimicamente il PET e il poliestere delle fibre tessili di scarto e ottenere monomeri puri da utilizzare nei processi industriali per produrre nuovi polimeri.