(Rinnovabili.it) – Burocrazia, scorciatoie illegali, ritardi normativi, concorrenza delle cave: in Italia la circular economy stenta a metter radici nel settore edilizio. Il ciclo di vita dei materiali, nella maggior parte dei casi, si arresta con le demolizioni, lasciando che il 90% degli elementi – dai mattoni alle tubature – finisca in discarica. Un problema esteso che non si limita a danneggiare solo l’ambiente ma anche il settore stesso delle costruzioni.
A presentare nodi e soluzioni per la filiera è il convegno “Edilizia e Infrastrutture: i rifiuti come materie prime”, tenutosi stamane alla Camera dei Deputati e organizzato dalla Commissione Bicamerale d’inchiesta sui rifiuti e dal Centro Materia Rinnovabile.
Il comparto dei rifiuti edili provenienti da demolizione e costruzioni vale circa un terzo del totale dei rifiuti speciali. Ma in Italia la quota di lavorazione in nero sfalsa del tutto i dati. Le stime ufficiali (Eurostat 2012) parlano di 53 milioni di tonnellate di rifiuti e di un riciclo che viaggia attorno al 70% a livello nazionale. Ma basta confrontare i numeri italiani con quelli dei Paesi Bassi (con una popolazione oltre quattro volte minore della nostra, registrano 81 milioni di tonnellate) per capire che qualcosa non torna. E che quel 70% è ben lontano dall’essere il dato reale.
Secondo i dati Uepg (Union Européenne des Producteurs de Granulats), la capacità di recupero sfiorerebbe invece a malapena il 10%.
Che fine fa il resto dei materiali? Complesso dirlo, come complesso è il sistema di censimento dei rifiuti da costruzione e demolizione: le regole cambiano per tipologia di impresa, i codici Cer (il sistema di classificazione della tipologia di rifiuto) vengono definiti dopo almeno quattro passaggi di ‘stato’ e anche i modelli Mud risultano poco chiari. Inoltre, i rifiuti edili che vengono riutilizzati necessitano di analisi il cui costo, soprattutto per le piccole imprese, è molto maggiore rispetto al semplice conferimento in discarica.
Altro ostacolo: la concorrenza sleale da parte delle imprese che lavorano in nero, con manodopera spesso poco qualificata. Queste realtà prive di costi contributivi e per la sicurezza, sono anche le prime ad alimentare il mondo delle discariche illegali. Inoltre in Italia, a causa della presenza di ben 4.800 cave attive che estraggono materiale a buon mercato, è quasi automatico per le imprese di costruzioni rivolgersi all’acquisto e all’impiego di materiale naturale, anziché di aggregato riciclato.
Eppure un cambio di passo è possibile, come hanno spiegato le organizzazioni di settore presenti al convegno. Una proposta potrebbe essere quella di utilizzare i macchinari di lavorazione degli inerti presenti nelle 4.800 cave attive, per trattare e trasformare i materiali che vengono dalle demolizioni del settore edile. O ancora, lavorare alla creazione di un network tra le imprese della filiera per collaborare alle soluzioni tecniche, per coordinarsi sulle razionalizzazioni economiche e sull’adeguamento normativo, indispensabile per dare slancio all’economia circolare, a partire dai decreti end of waste e dalla loro applicazione uniforme sul territorio nazionale.
“L’incontro di oggi”, spiegano dal Centro Materia Rinnovabile, “va visto come l’avvio di un processo virtuoso che dovrà portare a sanare questa falla nel nostro sistema di recupero dei rifiuti e intraprendere un necessario rilancio del settore in chiave di economia circolare”.