Una sentenza storica sul riciclo navi dalla Corte d’Inghilterra e del Galles
(Rinnovabili.it) – Sentenza storica sul fronte riciclo navi. La Corte d’appello d’Inghilterra e del Galles ha dato ragione a Hamida Begum, una cittadina del Bangladesh. Nel 2018 suo marito Khalid Mollah era morto sul lavoro precipitando dalla petroliera da 300mila tonnellate che stava facendo a pezzi sulla spiaggia di Chittagong. Begum ha fatto causa ed è riuscita a cambiare il modo in cui le compagnie marittime britanniche penseranno di smaltire le carrette del mare d’ora in poi.
La sentenza stabilisce che le compagnie di navigazione hanno un ‘duty of care’, un dovere di prendersi cura dei lavoratori impegnati nel riciclo navi. Anche se questi si trovano in paesi lontani migliaia di chilometri dal suolo britannico, nel sud-est asiatico, come Bangladesh, India, Pakistan. Gli incidenti sul lavoro per gli shipbreakers, insomma, sono anche un affare loro.
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L’industria del riciclo navi è da tempo sotto la lente per le condizioni lavorative infime e per l’impatto ambientale (le navi da smantellare sono considerate rifiuti pericolosi perché contengono sostanze tossiche). Quasi tutto lo shipbreaking al mondo avviene nel sud-est asiatico. Leggi inesistenti, regolamentazione del lavoro scarsa e abbondanza di manodopera a basso costo rendono attraente il business per gli armatori, che vogliono andare al risparmio sul ‘pensionamento’ del loro naviglio.
Secondo la Ong Shipbreaking Platform, 630 navi commerciali oceaniche e unità offshore sono state vendute ai cantieri di demolizione nel 2020. Di queste navi, 446 grandi petroliere, bulker, piattaforme galleggianti, navi da carico e passeggeri sono finite su tre spiagge dell’Asia meridionale, per un totale di circa 90% della stazza lorda smantellata a livello globale. Sono Alang in India, Chattogram in Bangladesh, e Gadani in Pakistan.
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L’aspetto più interessante della sentenza è che ha condannato Maran, la compagnia navale britannica, anche se non è stata direttamente lei a gestire lo smantellamento della nave in questione ma l’aveva ceduta a una compagnia basata a Dubai. Sapendo che sarebbe andata a finire in Bangladesh. Secondo il giudice, però, Maran avrebbe dovuto insistere con la compagnia emiratina e pretendere che la nave fosse trattata in un impianto a norma. E non illegalmente, su una spiaggia del Bangladesh dove, negli ultimi 15 anni, sono morti 216 lavoratori. Più di uno al mese.