Cinque le denunce scattate in Umbria nei confronti di autodemolitori nel tentativo di prevenire il traffico illecito di auto e monitorare il rispetto delle leggi di tutela ambientale
Sebbene quanto emerso rientri nella casistica, il business legato alla demolizione di un veicolo e il recupero del materiale che ne deriva avrebbero attirato negli anni, secondo le forze dell’ordine, sempre più operatori del settore allettati dagli alti guadagni che simili operazioni offrono. Una delle aziende controllate, per esempio, è passata dallo smaltimento di rifiuti speciali all’autodemolizione senza averne l’autorizzazione: l’azienda aveva infatti acquistato 14 autocarri leggeri da un concessionario, per poi selezionarli e rivendere i pezzi e il materiale recuperato, generando un giro d’affari pari a 28.000 euro (14.000 euro l’investimento sostenuto). Un autodemolitore nella provincia di Perugia, invece, è stato “pizzicato” a smaltire l’olio lubrificante usato non proprio correttamente: fatto confluire direttamente in un tombino, il rifiuto speciale veniva pompato in un depuratore adibito alla purificazione dell’acqua superficiale con contenuti minimi di combustibile, per poi finire in un fosso. Enorme il danno ambientale, causato da una concentrazione rilevata dall’Arpa di 249 milligrammi per litro a fronte dei 5 massimi tollerati.
Poi c’è chi ha “lavorato” più del dovuto (in un centro di demolizione sono state trattate 1.200 tonnellate di materiale ferroso, contro le 400 autorizzate) e chi invece ha provato a rivendere pezzi di ricambi provenienti da un’auto rubata; tutti illeciti commessi per risparmiare o per guadagnare. Eppure il paradosso è che, se fatta con criterio, la demolizione di un’auto giunta a fine vita ha i suoi risvolti non solo ambientali, ma anche economici.