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Le retine per la coltura delle cozze? Ora si riciclano

Innovativo processo made in Italy per recuperare le cosiddette “calze” per miticoltura, troppo spesso presenti nelle spiagge italiane

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(Rinnovabili.it) – E se le retine di plastica utilizzate per la produzione di cozze diventasse nuovi oggetti, magari anche nuove retine, invece di finire in discarica? Stiamo parlando del polipropilene, che potrebbe avere una nuova vita grazie a un processo innovativo sviluppato in Italia da ENEA.

L’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile ha condotto uno studio per l’Associazione Mediterranea Acquacoltori (AMA), che riunisce circa il 70% dei mitilicoltori italiani, nell’ambito del progetto finanziato dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari, Forestali e del Turismo.

Il risultato concreto di questo studio è un procedimento che consente di trasformare in materia prima il polipropilene delle reti, evitando così le particolari procedure di smaltimento necessarie per questo materiale.

Un beneficio che non è solo ambientale, ma anche economico. Il polipropilene recuperato consente ai produttori di cozze di tagliare del 33% la spesa sostenuta per l’acquisto delle nuove retine, stimabile in 4,8 milioni di euro l’anno, incentivandoli a non disperderle in mare.

Un problema tutt’altro che marginale. Secondo dati dell’Associazione Mediterranea Acquacoltori per produrre 1 kg di cozze si utilizzano fino a 1,5 metri lineari di rete: con oltre 80mila tonnellate di cozze vendute ogni anno in Italia, ciò si traduce in 120mila km/anno di retine utilizzate, “cioè fino a tre volte la circonferenza del nostro pianeta”, chiarisce Loris Pietrelli del Dipartimento Sostenibilità dei Sistemi produttivi e Territoriali dell’ENEA.

Le cosiddette “calze” usate per la mitilicoltura sono tra i rifiuti più presenti in quasi la metà delle spiagge del Paese (dati Legambiente-ENEA), soprattutto in prossimità degli impianti di produzione, con tempi di degradazione superiori ai 200 anni. Dalle attività di caratterizzazione delle plastiche raccolte lungo le spiagge e in mare è emerso inoltre che la maggior parte di esse è costituita da polimeri termoplastici come polietilene e polipropilene, materiali per la gran parte riciclabili in nuovi oggetti commercializzabili, da rifiuto a risorsa economica.

“Il processo che abbiamo sviluppato potrebbe essere applicato anche a tutto il polipropilene derivante da altri settori della piscicoltura e rappresentare il punto di partenza per una gestione sostenibile dei materiali plastici: dal recupero al trattamento, fino al riciclo, un circuito virtuoso in grado di valorizzare le potenzialità dei materiali a fine vita, oggi in massima parte sottovalutate”, conclude Pietrelli.