(Rinnovabili.it) – Ci sono realtà dell’economia circolare italiana che non hanno bisogno di replicare modelli esteri per mettere a frutto il loro potenziale. Realtà come la filiera nazionale di raccolta oli usati che in questi anni ha saputo trasformare la gestione di un rifiuto in un’eccellenza unica in Europa. I dati parlano da soli: siamo ormai prossimi al 100% del potenziale raccoglibile e ricicliamo, tramite rigenerazione, il 98% della quantità raccolta.
Dietro questi risultati c’è un ente che lavora da trentaquattro anni sul campo e che ha saputo trasformare una buona pratica in un modello sostenibile, capace di attrarre l’interesse di molti operatori internazionali. Parliamo di COOU (Consorzio Obbligatorio degli Oli Usati), il primo ente ambientale nazionale dedicato alla raccolta differenziata.
Il consorzio è nato nel 1982, con l’entrata in vigore del Decreto presidenziale n° 691 che attuava le prime direttive comunitarie relative all’eliminazione degli oli usati. Si avviava così un percorso che, in poche decine di anni, ha portato a raccogliere e riutilizzare molte tipologie di rifiuti. Un percorso in cui il COOU ha incrementato progressivamente le performance di raccolta, fino a tagliare il traguardo del ≈45% degli oli lubrificanti immessi al consumo: un valore che le stime indicano come il “limite” per la raccolta in Italia. Nel 2016, ad esempio, delle 405 mila tonnellate di olio lubrificante che si stima siano immesse al consumo in Italia, il COOU ne recupererà 177.800 tonnellate, vale a dire il 43,9% di olio lubrificante usato (un dato vicino al 100% del potenziale raccoglibile). Perché esiste un tetto? Perché non tutto l’olio immesso al consumo è recuperabile “a fine vita”: oltre il 50% viene consumato nell’utilizzo dei motori dei veicoli e negli impianti industriali. “Eppure – spiega il consorzio – anche in un quadro di eccellenza assoluta, esistono ancora dei margini di miglioramento”.
Ma a qualificare la filiera della raccolta oli usati come eccellenza nazionale ed europea basterebbero i dati 2015. Lo scorso anno, la quasi totalità degli oli usati gestiti è stata inviata a rigenerazione, ricavando oltre 100 mila tonnellate di basi rigenerate e 42 mila tonnellate di prodotti petroliferi quali bitumi e gasoli. Solo una piccola quota di 455 tonnellate non è recuperabile e viene termodistrutta.
Per l’Italia questo ha significato esser riuscita ad evitare la produzione di oli base da materia prima vergine, con un risparmio di circa 52 milioni di euro sulle importazioni di greggio. I benefici ottenibili sono anche sul fronte ambientale: nel 2015 sono state evitate 35 mila tonnellate di CO2eq, risparmiando 427 mila m3 di acqua, 217 mila tonnellate di risorse naturali, fossili e minerali e 650 ettari di terreno.
In altri termini è come se fossero state tolte dalla strada 10mila vetture (con una percorrenza annuale di 20mila km), fosse stato evitato lo spreco di acqua contenuta in 170 piscine olimpioniche o si fosse risparmiato lo stesso suolo occupato da 900 campi da calcio.