Accumuli storici di pneumatici fuori uso (PFU) sparsi per il mondo, abbandonati illegalmente e di fatto non gestiti, con conseguenze negative sulla salute dell’uomo e dell’ambiente e notevoli perdite economiche. Quella dell’abbandono degli pneumatici giunti a fine vita è una vera e propria piaga che purtroppo non conosce bandiera e che viene continuamente alimentata da operatori poco onesti e consumatori poco attenti, attratti dalla smania di facili risparmi. Eppure una loro corretta raccolta, associata a tutti i dovuti trattamenti, potrebbe garantire ingenti benefici non solo ambientali, ma anche economici.
Tra le realtà che in Italia sono autorizzate alla gestione dei PFU c’è anche Ecopneus, la società senza scopo di lucro creata nel 2006 dai principali produttori di pneumatici operanti sul territorio nazionale, che rintraccia, raccoglie, tratta e assicura una destinazione finale agli pneumatici fuori uso. A essa possono rivolgersi gommisti, responsabili di stazioni di servizio, autofficine o chicchessia per procedere a un ritiro gratuito di pneumatici-rifiuto. Lo ha spiegato a Rinnovabili.it il Presidente di Ecopneus, Giovanni Corbetta, il quale ci ha informato che sono già in 30.000 ad aver inviato una richiesta di prelievo di PFU al sistema, a sua volta inviata all’azienda di raccolta responsabile per la zona ove risiede l’attività commerciale che ha richiesto il ritiro. Dal punto di generazione, infatti, i PFU sono inviati a una delle aziende di frantumazione che fanno parte del sistema Ecopneus per essere lavorati e trasformati in “ciabatte”, granuli e polverino di gomma. Un processo che, assicura Corbetta, viene completamente tracciato per non perdere di vista neanche un solo pneumatico fuori uso e che viene dettagliatamente rendicontato al Ministero dell’Ambiente.
«L’assenza, fino a neanche due anni fa, di un sistema di gestione integrato a livello nazionale che assicurasse un recupero effettivo ed efficace di ogni singolo PFU e un accurato tracciamento dei flussi – ha spiegato Corbetta – ha costituito terreno fertile per il protrarsi di comportamenti illeciti e abbandoni incontrollati di PFU. Una situazione che è stata arginata drasticamente dalla norma adottata dal legislatore italiano, sulla scia della legislazione europea, che consente la completa tracciabilità di ogni singolo PFU, dal punto in cui viene generato fino all’arrivo nell’impianto di recupero, dove lo pneumatico diventa granulo e polverino di gomma per poi essere trasformato in tanti utili e preziosi manufatti».
Eppure, nonostante una volta arrivato a fine vita il PFU diventi un rifiuto assai prezioso, oggi l’Italia deve fare i conti anche con situazioni ereditate dal passato, legate principalmente ad abbandoni illegali o scarichi di aziende che, una volta fallite, hanno lasciato sul territorio accumuli anche di migliaia di tonnellate di PFU.
«Già nel 2012 Ecopneus ha portato avanti 4 operazioni di questo genere, andando a prelevare oltre 14.000 tonnellate di PFU, mentre nel 2013 due sono quelle già concluse e una di oltre 10.000 tonnellate è tuttora in corso e durerà per tutto l’anno. In caso di incendio questi accumuli potrebbero costituire un grave pericolo sia per la salute dei cittadini che per l’ambiente circostante».
Sulla quota del materiale recuperato il Presidente Corbetta è più che soddisfatto:
«L’obiettivo imposto dalla normativa che prevede l’obbligo per tutti i produttori e importatori di pneumatici operanti in Italia di assicurare il recupero di una quota di PFU pari in peso agli pneumatici nuovi immessi nel mercato del ricambio nell’anno solare precedente è stato ampiamente superato nel 2012, con l’avvio al recupero di oltre 240.000 tonnellate di PFU», ha dichiarato il Presidente, spiegando che nel 2012 il target di legge è stato dell’80% dell’immesso al consumo nel 2011 e che il legislatore ha fissato target di raccolta in crescendo per favorire la messa a regime del sistema. «Da quest’anno – ha aggiunto – l’obiettivo sarà il recupero del 100%».
Sull’obbligo di gestione degli pneumatici fuori uso per produttori e importatori, introdotto dal MATTM nel 2006, Corbetta ci spiega che si tratta di un sistema già adottato nella stragrande maggioranza dei Paesi europei, in alcuni fin dal 1995, ed ha portato a tassi di raccolta e recupero vicini al 100%, ben al di sopra dei valori raggiunti da categorie di rifiuti più comuni, come ad esempio carta e plastica.
«La valida impostazione legislativa, affiancata ad una gestione improntata all’efficienza e all’efficacia di ogni singolo componente della filiera – ha spiegato – ha contribuito a far sì che anche in Italia si siano raggiunti tassi di raccolta dei PFU impensabili in così poco tempo. Una gestione efficace ed efficiente che ha portato anche ad una progressiva riduzione del contributo ambientale sugli pneumatici nuovi immessi dai soci di Ecopneus e che finanzia il sistema, passato per uno pneumatico vettura dai 3,00 € ad avvio attività ai 2,50 € attuali, solo per fare un esempio, con una riduzione di circa il 17% a vantaggio dei consumatori».
Purtroppo ancora oggi esistono flussi illegali di pneumatici fuori uso legati principalmente alla vendita “in nero” di pneumatici nuovi. Ma come è possibile intercettarli e in che modo possono essere arginati?
«Uscendo completamente fuori dai “radar” – ci ha spiegato Corbetta – questi pneumatici sono totalmente invisibili a qualsiasi sistema legale e quindi, come illegalmente vengono venduti i pneumatici nuovi, altrettanto illegalmente devono essere smaltiti i PFU che vengono rimpiazzati sui veicoli. Per questo motivo, oltre ad assicurare il completo tracciamento dei PFU di nostra responsabilità, siamo impegnati nell’effettuare attività di informazione e sensibilizzazione sugli utilizzatori di pneumatici e sui soggetti coinvolti nelle loro fasi di commercializzazione sull’importanza della regolarità fiscale al momento dell’acquisto degli pneumatici come valido strumento per contrastare il fenomeno dell’abbandono dei PFU».
Infine, è importante sottolineare che per contrastare i traffici illeciti di PFU verso l’estero, Ecopneus ha inoltre stretto un protocollo di intesa con l’Agenzia delle Dogane; in questo modo anche i flussi transfrontalieri potranno essere meglio monitorati.