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Plastic Tax, quali Paesi europei storcono il naso?

plastic tax
Credit: Michael (CC BY-SA 2.0)

In Italia la Plastic Tax sarà applicata da giugno 2020

(Rinnovabili.it) – La proposta di una plastic tax comunitaria approda alla due giorni del Consiglio europeo, nella sessione dedicata al budget 2021-2027 del Blocco. A presentarla è la Commissione europea come parte della sua più ampia Strategia sulla plastica, convinta che la nuova misura possa offrire un’ottima soluzione anche per fronteggiare il buco da 13 miliardi di euro lasciato dalla Brexit nel bilancio dell’UE-27.

L’idea dell’esecutivo è di introdurre nuovi contributi che verrebbero calcolati applicando un’aliquota di 0,8 € / kg al peso dei rifiuti di imballaggi in plastica che non vengono riciclati, fruttando in media – stima Bruxelles – 6,6 miliardi di euro all’anno.

 

Secondo la Finlandia, a cui spetta la presidenza UE fino alla fine dell’anno, la proposta di carbon tax può contare oggi su un ampio ma “non completo sostegno” da parte degli Stati Membri. I paesi orientali, in particolare, hanno espresso dubbi sulla natura “regressiva” dell’imposta, che colpirebbe più duramente i paesi più poveri di quelli più ricchi. 
Tuttavia, c’è chi non ha voluto aspettare una misura comunitaria e ha già messo mano alla normativa nazionale in tal senso. Ne è un esempio, la Gran Bretagna che applicherà la gabella a tutti gli imballaggi in plastica monouso che non includono almeno il 30% di contenuto riciclato a partire dal 2022. In Finlandia, vengono tassati invece gli imballaggi di bevande non alcoliche, con un prelievo di 0,51 euro al litro sui contenitori riutilizzabili e non. Discorso analogo per la Norvegia, che applica la tassa solo sugli imballaggi “a perdere”e per la Danimarca, dove si applica un prelievo variabile in base all’impatto ambientale dei singoli materiali. Qualcosa ha fatto anche la Germania – dove a gennaio 2019 è entrata in vigore una nuova legge sugli imballaggi VerpackG – progettando in questo caso un rigoroso sistema di deposito su cauzione. 

 

E in Italia? Nel nostro paese, la plastic tax è stata introdotta con la Manovra 2020 prevedendo un prelievo di 1 euro per chilo di imballaggio plastico impiegato. Un giocare d’anticipo, rispetto alle misure europee che non è tuttavia piaciuto a tutti. Molto scettica è Confindustria, secondo cui “la misura non ha finalità ambientali, penalizza i prodotti e non i comportamenti e rappresenta unicamente un’imposizione diretta a recuperare risorse ponendo ingenti costi a carico di consumatori, lavoratori e imprese”. Di tutt’altra idea è invece Legambiente, che risponde: “Confindustria parla di problemi occupazionali così come fece, nel 2011, quando entrò in vigore la norma sui sacchetti per l’asporto di merci e ancora all’inizio del 2018, criticando l’obbligo dei sacchetti biodegradabili per l’ortofrutta. Eppure non mi sembra che le aziende abbiano chiuso, hanno semplicemente riconvertito le loro produzioni”. A tal proposito è intervenuto il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, sottolineando la necessaria apertura di un tavolo al Mise per “supportare a livello sociale ed economico la transizione ecologica” delle industrie della plastica, le più colpite dalla plastic tax introdotta in manovra.

 

Parlando di “cifre irrisorie” e prendendo ad esempio i Paesi europei in cui già  è attivo un meccanismo di disincentivo all’uso della plastica, Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento Greenpeace per l’Italia, ha commentato: “se una bottiglia di plastica pesa 9 grammi, facendo un semplice calcolo, ci rendiamo conto ti quanto la tassazione rischia di rivelarsi inefficiente. Lo scopo dovrebbe essere quello di tassare comportamenti nocivi per l’ambiente e non prettamente fiscale. Per fare questo, ovviamente, la tassa dovrebbe essere accompagnata da una serie di misure che ad oggi nel nostro Paese non sono ancora state adottate”. 

 

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