La revisione della direttiva sui rifiuti dovrebbe classificare l’olio di pirolisi come rifiuto e non come risorsa
(Rinnovabili.it) – Una tecnologia tutt’altro che miracolosa, poco performante e ben lontana dall’essere una soluzione per l’economia circolare. Questo il giudizio severo di Zero Waste Europe sulla pirolisi, messa sotto esame in un rapporto pubblicato qualche giorno fa dall’associazione.
La pirolisi riscalda i rifiuti di plastica in assenza di ossigeno e produce un tipo di olio che, secondo molte imprese, può essere ritrasformato in plastica “vergine”. La realtà, secondo Zero Waste, è che il processo non è compatibile con molti tipi di plastica. Inoltre, quando lo è garantisce una bassa resa. A questo si aggiunge la contaminazione dell’olio di pirolisi, che obbliga a diluirlo con una miscela a base di petrolio. l rapporto sostiene che normalmente la miscelazione metta insieme il 5-20% di olio di pirolisi con l’80-95% di nafta di petrolio. Insomma, non proprio una soluzione da portare in palmo di mano.
Solo una gamma molto ristretta di plastiche ben selezionate e pulite può passare attraverso la pirolisi con qualche successo. Ma anche questo si sta rivelando difficile. Flussi di rifiuti plastici altamente miscelati, non lavati o difficili da riciclare, producono invece un olio di pirolisi con livelli di contaminazione troppo alti.
Le discussioni in corso per definire un approccio europeo armonizzato ai criteri end of waste per la plastica proseguiranno fino al 2025. Per allora si prevede che venga adottata una revisione della direttiva quadro sui rifiuti. Secondo Lauriane Veillard, di ZWE, “se l’olio di pirolisi viene riclassificato come prodotto invece di essere classificato come rifiuto, come vorrebbe l’industria, deve soddisfare i requisiti dell’UE. Non possiamo permetterci di accettare una legislazione che mina una vera economia circolare. La nostra stella polare dovrebbe essere la tutela dell’ambiente, della salute umana e della fiducia pubblica”.
La promessa che dall’olio di pirolisi si possa produrre nuova plastica è quindi da prendere per ciò che è: poco più che una boutade. Nello scenario migliore, l’organizzazione ritiene che solo il 2% dei rifiuti di plastica immessi nella pirolisi finirà effettivamente nel prodotto riciclato.