Uno studio americano ha condotto una sperimentazione con pacemaker riciclati per 3 mesi in paesi a medio-basso reddito
Pacemaker riciclati, ma funzionali e in grado di salvare vite umane come se fossero nuovi. Questi dispositivi fondamentali per cardiopatici, potrebbero ridurre la mortalità ed aumentare l’accesso alle cure nei paesi più poveri, a medio-basso reddito, dove le ridotte possibilità economiche costringono pazienti con patologie cardiache a rinunciare al trattamento. Un recente studio americano, condotto dall‘Università del Michigan, ha dimostrato che i pacemaker riciclati possono funzionare altrettanto bene dei dispositivi nuovi. Per validare lo studio a livello scientifico, è stata condotta una sperimentazione clinica internazionale che ha coinvolto circa 300 persone, in sette paesi in Africa, Nord e Sud America, sottoposte ad una serie di test con apparecchi nuovi e pacemaker usati, ma riciclati. L’assegnazione è avvenuta in modo casuale, ma i ricercatori non hanno riscontrato differenze significative nella funzionalità del pacemaker fino a 3 mesi dall’inizio della procedura.
Nessun decesso collegato ai “vecchi” pacemaker
Solamente cinque pazienti hanno sviluppato infezioni localizzate nel sito di impianto del pacemaker, tre dei quali avevano ricevuto nuovi dispositivi, mentre nel gruppo con pacemaker ricondizionati tre persone sono decedute, ma per nessuno dei decessi ci sono correlazioni nella procedura di impianto, infezioni o malfunzionamenti del dispositivo.
“Questi primi risultati positivi ci avvicinano alla realtà di una donazione di pacemaker su larga scala e di un ricondizionamento che potrebbe salvare vite in tutto il mondo“, ha affermato il ricercatore principale Thomas C. Crawford, MD , elettrofisiologo cardiaco presso il Frankel Cardiovascular Center, che ha aggiunto: “A differenza degli Stati Uniti, la terapia con pacemaker spesso non è disponibile o accessibile per le persone nei paesi a basso e medio reddito. Il nostro programma è determinato a cambiare le cose“.
Pacemaker hanno batteria con vita media di 7 anni
Sia pacemaker che defibrillatori sono terapie spesso salvavita e prive di alternative, ma il non trascurabile costo di questi device non è alla portata di tutti i sistemi sanitari e per questa ragione costituisce la principale causa di limitazione del loro impiego nei paesi sottosviluppati, con ricadute peggiorative sulla prognosi dei pazienti di tali regioni. Ma la vita di un pacemaker non si esaurisce con la morte del paziente a cui è stato applicato; anzi circa il 50-60% dei dispositivi espiantati post-mortem sono normalmente funzionanti e con una longevità di batteria stimabile mediamente sui 7 anni. Ecco i motivi del riciclo, che potrebbe risolvere il problema della scarsa accessibilità a tale cure nei pesi economicamente più deboli, anche se questa applicazione è sempre stata frenata dal timore dei rischi, soprattutto infettivi, che lo studio smentirebbe entro i 90 giorni della sperimentazione.
La ricerca intende testare i pacemaker per periodo più lungo
Il programma My Heart Your Heart ha iniziato a inviare all’estero pacemaker ricondizionati nel 2010 per casi di uso compassionevole, in cui non esisteva alternativa di cura; i dispositivi ricondizionati provengono da persone decedute o da persone che necessitano di sostituire il pacemaker con un dispositivo con funzioni più avanzate, a patto che la batteria abbia una durata superiore ai quattro anni.
“È fondamentale andare avanti con questa ricerca e determinare il modo ottimale per ridurre il divario nell’accesso alla terapia salvavita con pacemaker – ha affermato ancora Crawford – . I risultati a tre mesi sono incoraggianti, ma quelli a sei e dodici mesi saranno fondamentali per capire se, fatta eccezione per la durata della batteria, i pacemaker rigenerati possono funzionare come quelli nuovi”.
Pacemaker riciclati donati da agenzie di pompe funebri
Il programma ha ricevuto donazioni da agenzie di pompe funebri in tutti i 50 stati americani, ma questa di riciclare i pacemaker idea non è nuovissima, anzi è in fase di elaborazione da oltre un decennio ed ogni fase è stata studiata con grande attenzione. Ora il team guidato dall’Università del Michigan prevede di continuare a monitorare i partecipanti per determinare la sicurezza e l’efficacia a lungo termine dei pacemaker riciclati.
“Siamo partiti dalle convinzioni e dagli atteggiamenti di pazienti, famiglie, medici e direttori di pompe funebri. Il processo di estrazione corretta, analisi della funzione, sterilizzazione, confezionamento e impianto finale e follow-up è stato ricercato rigorosamente. Abbiamo creato una tabella di marcia pubblicata, se vogliamo, su come altri centri e partner nel mondo possono unirsi a questa causa più che meritevole”, ha precisato Kim Eagle, fondatore del programma e direttore del Frankel Cardiovascular Center.