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Dai rifiuti all’idrogeno (e non solo), la ricetta di NextChem per la transizione energetica

Con MyRechemical, NextChem innova il ruolo dei rifiuti nell’economia circolare attraverso la chimica verde e la sua tecnologia waste-to-X. Intervista all’ad Giacomo Rispoli

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La tecnologia waste-to-X di MyRechemical

(Rinnovabili.it) – È nata da pochi giorni da una costola di NextChem, società del Gruppo Maire Tecnimont che opera nel campo della chimica verde e della transizione energetica. Per ripensare e rafforzare il ruolo dei rifiuti nell’economia circolare. E trasformarli in prodotti chimici pregiati. Sono questi gli obiettivi che MyRechemical vuole raggiungere grazie alla sua tecnologia waste-to-chemical. Rinnovabili.it ha discusso delle potenzialità di questa tecnologia e dell’impatto che può avere a livello di sistema-paese con l’ingegner Giacomo Rispoli, ad di MyRechemical e in precedenza responsabile del Waste to Chemical in NextChem.

Ing. Rispoli, in cosa consiste la tecnologia waste-to-chemical?

È una tecnologia che a partire dai rifiuti permette di estrarre carbonio e idrogeno, che noi otteniamo in forma di gas di sintesi o syngas. Questi due elementi sono un po’ il ‘mattoncino Lego’ della chimica: si può sviluppare tutta la chimica del carbonio partendo da lì. Quindi la tecnologia ha moltissime applicazioni possibili, è estremamente flessibile. Con un punto di forza in particolare.

Quale?

Fa entrare appieno la chimica verde nella logica dell’economia circolare. Peraltro i prodotti chimici ottenuti – idrogeno, metanolo, etanolo – hanno un’impronta di carbonio inferiore a quella che avrebbero se fossero prodotti a partire da fonti fossili. E poi il processo ha una buona sostenibilità economica, non così comune nella chimica verde. Questo perché ci appoggiamo a un settore – i rifiuti – che ha già una sua logistica molto sviluppata.

Il punto di partenza sono i rifiuti. Di che tipologia?

Rifiuti solidi urbani e plastiche non riciclabili. Non il tal quale: la nostra materia prima seconda è l’indifferenziato depurato dell’umido e delle frazioni riciclabili. In pratica la tipologia di rifiuti che normalmente viene avviata a incenerimento, non riciclabile per via meccanica. Che noi possiamo prendere senza ulteriori pre-trattamenti.

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Nella foto: l’ingegner Giacomo Rispoli, ad di MyRechemical

Cosa resta di questi rifiuti al termine del processo?

Noi ‘preleviamo’ solo carbonio e idrogeno, ciò che resta è circa il 12-15% del rifiuto in ingresso. Le frazioni minime, acquose e gassose, vengono filtrate e trattate prima del rilascio. Il rimanente lo trasformiamo in materiale vetroso con pezzatura di pochi centimetri che possono essere avviati a discarica. Ma stiamo lavorando per valorizzare anche questi scarti.

Come?

Trasformandoli in materiali coibenti, il punto di partenza per i materassini in lana di roccia o lana di vetro. Oggi per produrli si usano residui del vetro o dolomite, un minerale composto principalmente da magnesio e calcio. Con il nostro schema waste-to-chemical possiamo fornire direttamente il materiale necessario.

Faceva cenno alla ridotta impronta di carbonio delle sostanze chimiche prodotte. Di quante emissioni tagliate parliamo?

Dipende dalla sostanza prodotta. Di regola, più la molecola in uscita contiene carbonio, più la riduzione dell’impronta è elevata. Facciamo degli esempi pratici. Un inceneritore produce in media 1,35 t CO2 per 1 t di rifiuto bruciato. In un impianto waste-to-hydrogen la CO2 evitata è 1 t/kg di rifiuto processato. Se la sostanza prodotta è metanolo si sale a 1,3 mentre nel caso dell’etilacetato il rapporto sale a 2,3.

Quali sono i costi di produzione?

Tutti i progetti waste-to-chemical sono sostenibili economicamente. La loro redditività è superiore al 10% se installati all’interno di raffinerie e impianti industriali. Riusciamo ad abbattere i costi anche perché prevediamo un ‘gate fee’, cioè di avere benefici economici anche dalla materia “prima” e non solo dalla vendita dei prodotti.

L’idrogeno è sempre più centrale per la transizione energetica. Anche MyRechemical spinge in particolare in questa direzione?

Sì, assolutamente. In due modi. Primo, il nostro è un modello di idrogeno circolare. La produzione avviene in siti brownfield come le raffinerie, può essere distribuita appoggiandosi al network già in uso da parte della oil company, la quale è anche il cliente. Così si incentiva la domanda di idrogeno e si facilita il passaggio di scala.

Credits: NextChem

Ma lavoriamo anche a integrare il processo waste-to-hydrogen con l’elettrolizzatore. In quelli convenzionali l’ossigeno viene disperso, noi lo vogliamo reimpiegare nella gassificazione dei rifiuti. Così si integrano due linee produttive. La sfida qui è far costare l’idrogeno 6-7 euro/kg quindi arrivare alla parità energetica con la benzina. Servirebbe anche un supporto del governo, è chiaro che sarebbe meglio non avere accise almeno inizialmente.

Tra le sostanze prodotte c’è anche l’etanolo. L’Italia oggi importa tutto il suo fabbisogno, il vostro schema può incentivare la nascita di una filiera nazionale?

Sì, la produzione di etanolo diventa più conveniente. Soprattutto alla luce di cosa dice la direttiva RED II dell’Unione europea, che lo rende doppiamente vantaggioso. Tramite il waste-to-ethanol il prodotto diventa una biocomponente in quanto carbon recycled fuel, ma è anche un componente per i biofuel avanzati perché proviene dal mondo degli scarti. Questo significa che il valore economico dell’etanolo prodotto con il nostro schema è molto pregiato.

A quando la prima implementazione concreta dei vostri schemi?

NextChem ha completato la progettazione di base per uno schema waste-to-hydrogen a Porto Marghera e uno waste-to-methanol a Livorno, entrambi nell’ambito di una partnership con Eni. Eni e NextChem stanno lavorando anche su Taranto dove stanno completando uno studio di prefattibilità.

Stiamo parlando di uno schema che ancora non esiste nel mondo. Questi, insieme all’Eni, sarebbero i primi impianti di questo tipo a vedere la luce e proietterebbero l’Italia tra i paesi all’avanguardia in questo campo.

Ma non è tutto, c’è un grande fermento tra le oil companies. Solo in Italia abbiamo altri due progetti, uno a Roma e uno nel Nord Italia. Sono in corso studi di pre-fattibilità con altre compagnie nel centro-sud Italia. E arrivano manifestazioni d’interesse anche dall’estero, da altre aziende dell’oil&gas europee. Francia, Portogallo ad esempio, hanno tutti molto interesse per il waste-to-chemical.