L’analisi della banca ING individua nell’elettrificazione e nel riciclo le vie per ridurre l’intensità carbonica
(Rinnovabili.it) – Il Carbon Border Tax Adjustment Mechanism rischia di funzionare, in particolare per l’acciaio. Lo dice un’analisi della banca olandese ING, pubblicata di recente. Se l’Unione Europea implementerà un meccanismo di aggiustamento del carbonio alla frontiera (CBAM), costringerà i produttori mondiali di metalli ad accelerare gli sforzi in transizione energetica e riciclo per ridurre il loro impatto climatico.
Il meccanismo non fa altro che imporre un dazio ambientale sulle merci ad alta intensità di carbonio importate nel mercato europeo. L’introduzione sarà graduale, dal 2026 al 2034, e inizialmente prenderà di mira sei tipi di beni: cemento, ferro e acciaio, alluminio, fertilizzanti, energia elettrica e idrogeno.
Acciaio e alluminio sono i settori che più risentiranno dell’applicazione del CBAM, secondo la banca olandese. Per quanto riguarda l’acciaio, il salto tecnologico per continuare ad esportare verso l’Unione Europea potrebbe essere un passaggio obbligato. I paesi che utilizzano ancora forni a ossigeno di base (BOF), dovrebbero investire in quelli elettrici ad arco (EAF), alimentati a rottami. La combinazione tra uso dell’elettricità e alimentazione con materiali di riciclo, farebbe una differenza critica per i Paesi che vogliono continuare a esportare nel europeo senza pagare il balzello.
“Le emissioni dirette del forno a ossigeno di base sono significativamente più elevate rispetto a quelle dei forni elettrici ad arco – afferma ING – L’intensità delle emissioni imputabili al processo basato su BOF, che rappresenta circa il 71% della produzione globale, è in media di 2,23 tonnellate di CO2 per tonnellata di acciaio grezzo prodotto. L’intensità carbonica del processo EAF è in media di 0,67”.
Quali paesi dovranno rivedere i propri sistemi produttivi se va in porto il meccanismo di aggiustamento del carbonio alla frontiera? Probabilmente per la Cina ci saranno ripercussioni, mentre la Turchia dovrebbe cavarsela. Come secondo fornitore di acciaio dell’UE “dispone di un’ampia capacità EAF, il che significa che l’intensità delle emissioni è ben al di sotto della media globale”, spiega ING. Pechino dovrà invece investire in questa tecnologia e aumentare la percentuale di acciaio riciclato.
Per quanto riguarda l’alluminio, invece, Norvegia e Islanda sono il primo e il terzo fornitore UE e non saranno soggetti all’applicazione del meccanismo. Tuttavia, tra gli altri principali fornitori di alluminio figurano Russia, Turchia, Cina, Emirati Arabi Uniti e India. “Di questi cinque, l’India e la Cina hanno l’intensità di emissioni più alta in assoluto”, sostiene l’analisi.
Per questo motivo, la banca prevede che il costo aggiuntivo per tonnellata di alluminio indiano destinato all’UE potrebbe salire del 40%. Senza un robusto impegno di decarbonizzazione, quindi, l’impatto sui flussi sarà visibile.