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L’industria del cavolo cinese si candida per produrre bioplastiche da scarti agricoli

Con uno spreco del 30%, il settore è altamente inefficiente. Una nuova tecnica potrebbe trasformarlo in fonte di bioplastiche da scarti agricoli

bioplastiche da scarti agricoli
Foto di Grab su Unsplash

L’applicazione dell’ingegneria genetica ai batteri apre alla produzione di bioplastiche da scarti agricoli

(Rinnovabili.it) – Ogni anno, la produzione globale di cavoli e altre colture della famiglia delle brassiche raggiunge 72 milioni di tonnellate. Più del 30% però viene sprecato durante i processi di produzione e distribuzione. E se li usassimo per produrre bioplastiche da scarti agricoli?

La proposta viene dal World Institute of Kimchi (WiKim), che ha annunciato una tecnologia di upcycling basata sul biorefactoring, capace di trasformare i sottoprodotti del cavolo, altrimenti considerati rifiuti, in plastica biodegradabile.

Si tratta, come sempre più spesso accade, di ingegneria genetica applicata ai batteri. I microrganismi vengono modificati per ottenere nuove funzionalità. In questo caso, sono stati sviluppati ceppi microbici in grado di produrre bioplastiche biodegradabili dai sottoprodotti del cavolo. Ottimizzando le concentrazioni degli enzimi e dei substrati, il tasso di conversione degli zuccheri è stato portato fino al 90,4%. La ricerca è stata pubblicata sul Journal of Agricultural and Food Chemistry.

L’ingegneria dei batteri a braccetto con l’industria alimentare

L’acido malico, un composto bioattivo presente nei sottoprodotti del cavolo, che è stato identificato come un catalizzatore che migliora la produttività del poliidrossialcanoato (PHA), un tipo di plastica biodegradabile ottenuta attraverso la fermentazione microbica. Gli scienziati hanno spiegato che “utilizzando l’idrolizzato di cavolo come materia prima, questo ceppo di E. coli ingegnerizzato potrebbe produrre poli(3-idrossibutirrato) con un contenuto di polimero pari al 26,0% del peso della cellula disidratata. Inoltre, l’aggiunta di 0,5 g/L di acido malico ha aumentato il contenuto di poli(3-idrossibutirrato) del 59,9%”.

L’idea è utilizzare come serbatoio di materia prima l’industria del kimchi, dove gli scarti di cavoli e cipolle sono comuni durante il processo di produzione. L’Istituto continuerà a sviluppare la tecnologia di upcycling con l’obiettivo di dare un contributo al settore verso la neutralità del carbonio. Oggi, infatti, gli sprechi della filiera valgono un terzo della produzione, con relativo impatto a livello di emissioni.

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