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I rifiuti sanitari cercano una soluzione nel riciclo termochimico

Basato sulla tecnologia dello “steam cracking”, il riciclo termochimico promette di recuperare materie prime dai rifiuti generati dal settore sanitario

riciclo termochimico
Foto di engin akyurt su Unsplash

La Chalmers University punta sul riciclo chimico per trattare gli oggetti monouso 

Si chiama riciclo termochimico, e serve per dare una seconda vita a materie prime contenute in oggetti complessi da riciclare con i metodi classici. L’hanno sperimentato gli scienziati svedesi della Chalmers University of Technology, prendendo di mira gli oggetti monouso utilizzati in ambito sanitario. In pratica parliamo di guanti, sacche per il sangue e strumenti chirurgici. Questa strumentazione rappresenta un crescente problema ambientale a livello globale. Con l’aumento dell’impiego negli ultimi anni, si è notato che non esistono metodi efficaci per riciclare questi rifiuti plastici. 

Il tradizionale riciclo meccanico della plastica non può soddisfare i rigorosi requisiti di purezza necessari per i materiali sanitari. Spesso questi contengono diverse tipologie di plastica e sono considerati contaminati dopo l’uso. Di conseguenza, i rifiuti sanitari monouso finiscono inceneriti o in discarica, contribuendo significativamente all’inquinamento. La pandemia di COVID-19 ha ulteriormente esacerbato questa problematica, con un aumento massiccio di dispositivi monouso come le mascherine.

Il riciclo termochimico provato dai ricercatori svedesi utilizza un processo denominato “steam cracking“. In pratica riscalda i materiali fino a 800 gradi, convertendoli in blocchi chimici utilizzabili nella produzione di nuova plastica.

I test condotti hanno dimostrato che la nuova tecnologia non solo elimina i batteri e i microorganismi presenti nei rifiuti, ma permette anche il recupero dei composti chimici fondamentali. Essi possono poi sostituire materie prime fossili nel settore petrolchimico. Una soluzione più sostenibile per la gestione dei rifiuti medici, che in qualche modo però puntella l’industria fossile. 

“Può essere paragonato a un martello termico che frantuma le molecole e allo stesso tempo distrugge batteri e altri microrganismi”, dice Martin Seemann, professore associato presso la Divisione di tecnologia energetica della Chalmers. “Ciò che resta sono diversi tipi di composti di carbonio e idrocarburi. Questi possono quindi essere separati e utilizzati nell’industria petrolchimica, per sostituire i materiali fossili attualmente utilizzati nella produzione”.

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