In USA nel 2021 avviate a riciclaggio plastica solo 2,4 mln t su 51 mln t totali
Crescono i tassi di carta, cartone e metallo, ma il riciclaggio della plastica sembra fermo al palo: queste le evidenze del rapporto di Greenpeace USA “Circular Claims Fall Flat Again”. Lo studio evidenzia come negli Stati Uniti, nel solo 2021, le famiglie abbiano generato un volume di rifiuti di plastica pari a 51 milioni di tonnellate, di cui però solo 2,4 sono state riciclate.
Inutile puntare sul riciclaggio, dicono i portavoce della ONG: la plastica va abolita.
“Siamo ad un punto di decisione sull’inquinamento da plastica – ha detto Lisa Ramsden, Greenpeace USA Senior Plastics Campaigner – È tempo che le aziende chiudano il rubinetto di plastica. Invece di continuare a fare greenwashing e fuorviare il pubblico americano, questo novembre l’industria dovrebbe stare dalla parte giusta della storia e sostenere un ambizioso Trattato Globale sulle Materie Plastiche che finalmente porrà fine all’era della plastica diminuendo significativamente la produzione e aumentando la ricarica e il riutilizzo”.
La maggior parte della plastica non può essere destinata al riciclo
Secondo Greenpeace continuare a percorrere la strada del riciclaggio della plastica è inutile, anche perché gran parte di quella prodotta non può essere destinata al riciclo.
Nessuno dei tipi di imballaggio che si producono negli Stati Uniti risponde appieno ai criteri della Ellen MacArthur Foundation’s New Plastic Economy (EMF NPE) Initiative: negli ultimi anni il settore ha subito un tracollo perdendo un 5-6% nel 2021, l’8,7% rispetto al 2018, con una diminuzione massima di quasi 10 punti percentuali (9,5%) rispetto al 2014.
Gli standard di riferimento, contenuti nella Ellen MacArthur Foundation’s New Plastic Economy (EMF NPE) Initiative, ritengono che un articolo di plastica, per beneficiare della definizione di “riciclabile”, deve avere un tasso di riciclaggio di almeno il 30%. Le plastiche più diffuse negli USA – PET #1 e HDPE #2 – sono molto al di sotto degli standard, raggiungendo rispettivamente la soglia del 20,9% e del 10,3%. Il resto della plastica non arriva nemmeno al 5%.
PET #1 e HDPE #2 sono le plastiche più diffuse nell’industria alimentare, formalmente pensate per essere riciclate ma, secondo Greenpeace, in realtà possono solo essere ammesse negli impianti: non è detto che il processo di riciclaggio sia possibile. “Aziende come Coca-Cola, PepsiCo, Nestlé e Unilever hanno lavorato con gruppi di facciata del settore per promuovere il riciclaggio della plastica come soluzione ai rifiuti di plastica per decenni – ha spiegato Ramsden – Ma i dati sono chiari: in pratica, la maggior parte della plastica non è riciclabile. La vera soluzione è passare a sistemi di riutilizzo e ricarica”.
Perché il riciclaggio della plastica fallisce
Lo studio aggiorna una relazione del 2020 e, alla luce dei dati raccolti, mostra il fallimento dei sistemi di riciclaggio sia chimico sia meccanico dei rifiuti di plastica. La ragione, secondo Greenpeace, sta nella difficoltà di raccolta e selezione, anche perché molte delle materie utilizzate sono pericolose dell’ambiente, in parte contaminate da agenti tossici o poco economici da riciclare.
A rendere difficile il riciclaggio l’insormontabile presenza di oggetti in plastica monouso che ogni anno inondano il mercato “come trilioni di pezzi di coriandoli vomitati da negozi al dettaglio e fast food a oltre 330 milioni di americani: in tutto più di 3 milioni di miglia quadrate ogni anno. Semplicemente non è possibile raccogliere la grande quantità di questi piccoli pezzi di plastica venduti agli consumatori USA ogni anno. Più plastica viene prodotta e meno viene riciclata – ha concluso Ramsden – La crisi peggiora sempre di più e, senza drastici cambiamenti, continuerà a peggiorare mentre l’industria prevede di triplicare la produzione di plastica entro il 2050″.
Serve un’azione globale che superi l’idea del riciclaggio della plastica
Più del 99% della plastica diffusa ogni giorno è composta da combustibili fossili, continuando ad alimentare una dipendenza dalla quale – la scienza lo richiede – dobbiamo liberarci per sperare di mitigare i cambiamenti climatici. Sono molte le comunità che, lungi dal beneficiare di ritorni economici dal business delle materie plastiche, ne pagano però il prezzo ambientale e in termini di diritto alla salute perché esposte agli effetti di discariche, inceneritori, impianti petrolchimici, inquinamento delle acque e altre criticità.
Le aziende impiegate nel settore della plastica – secondo Greenpeace – dovrebbero immaginare soluzioni alternative al riciclaggio, eliminando gradualmente la produzione monouso, standardizzando gli imballaggi per il riutilizzo e adottando un trattato globale che fissi delle regole internazionali per disciplinare la distribuzione di questa materia.