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Ecoforum 2023, ecco come l’Italia resterà la 1° della classe in economia circolare

Dal 4 al 6 luglio si tiene Ecoforum 2023, la kermesse sulla circular economy organizzata da Legambiente, La Nuova Ecologia e Kyoto Club che spegne quest’anno 10 candeline. Nella prima tavola rotonda in calendario si sono confrontati sul tema dell'economia circolare il ministro dell'Ambiente Pichetto Fratin, Ciafani (Legambiente), Siclari (Ispra), Piunti (Conou) e Capuano (Conai)

Ecoforum 2023: virtù e punti deboli dell’economia circolare in Italia

Si apre oggi Ecoforum 2023, la 10° edizione dell’evento organizzato da Legambiente, La Nuova Ecologia e Kyoto Club

(Rinnovabili.it) – Il modello italiano per l’economia circolare funziona. Ma bisogna raccontarlo meglio. E non perdere di vista i cambiamenti necessari per restare al passo con la transizione. Accelerando la realizzazione delle infrastrutture necessarie, sviluppando una cultura del riciclo ancora più capillare, lavorando sul territorio e con il territorio. È il messaggio lanciato dalla tavola rotonda “Economia circolare, le politiche europee e le sfide nazionali” che ha aperto i lavori dell’Ecoforum 2023, la kermesse sulla circular economy organizzata da Legambiente, La Nuova Ecologia e Kyoto Club che spegne quest’anno 10 candeline.

Territori, informazione, nimby

Le trasformazioni spaventano. E le resistenze che si incontrano oggi comunemente sui territori per progetti legati al fotovoltaico o all’eolico esistono già, e si stanno diffondendo, anche per progetti legati alla gestione del ciclo dei rifiuti e alle attività circolari in genere. Gestire bene questo passaggio molto delicato – siamo in una fase in cui, tra PNRR e obiettivi 2030 della transizione, bisogna correre – è importantissimo.

Il rischio è “una guerra civile diffusa sul territorio”, afferma il presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani. D’altronde per far girare l’economia circolare “prima di tutto bisogna fare: impianti, infrastrutture sul territorio sono necessari”. Ciafani fissa le priorità. Semplificazione normativa. Iter autorizzativi snelliti, con qualche passo mosso nella giusta direzione dal governo: “Bene il quasi raddoppio dei membri della commissione VIA-VAS”. Risolvere il nodo del ministero della Cultura, che dev’essere coinvolto e partecipe. E deve marciare nella stessa direzione del resto del paese.

E ancora, affrontare i nodi con le Regioni, dove spesso mancano personale e competenze necessarie. Ultimo ma non meno importante, sensibilizzare e coinvolgere i cittadini nelle decisioni: “Noi da ente presente nel 95% delle province italiane lo facciamo da tempo, spiegando che un impianto di trattamento rifiuti non è una centrale nucleare”, puntualizza il presidente di Legambiente.

A Ecoforum 2023 il regolamento UE sugli imballaggi

Sul correre è d’accordo anche il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto. Che snocciola dati e risultati per la transizione in generale: “Abbiamo inviato a Bruxelles la sintesi di presentazione del nuovo PNIEC, per il documento vero e proprio siamo in dirittura d’arrivo. Servono tempi ragionevoli per dare risposte autorizzative, abbiamo iter iniziati 20 anni fa e non ha senso. Per fine luglio arriveranno anche il decreto sulle aree idonee e il decreto CER”.

Ma bisogna correre rispettando le eccellenze e il lavoro positivo che già viene svolto. La critica è all’UE e al regolamento imballaggi. “Ok al riuso laddove possibile – puntualizza il ministro – ma non ha senso uniformare al ribasso”. Parla di “preoccupazioni reali” anche Ignazio Capuano. Per il presidente del Conai Bruxelles sbaglia in partenza proponendo un regolamento – che si applica a tutti allo stesso modo e dall’alto – invece di una direttiva – che deve poi essere declinata a livello nazionale dai governi. “Perché cambiare un sistema che funziona?”, si chiede, anche guardando i risultati ottenuti dall’Italia: “Sui rifiuti da imballaggio siamo in linea con gli obiettivi 2025 su quasi tutti i materiali e su alcuni materiali siamo già sopra gli obiettivi 2030. I due sistemi, riciclo e riuso, possono convivere”.

Numeri e punti deboli dell’economia circolare in Italia

In alcuni ambiti, la circular economy del Belpaese è su livelli di eccellenza assoluta nel panorama europeo. Come nel caso degli oli minerali esausti. L’Italia ne rigenera il 98%, mentre l’UE aveva provato a far passare come target l’85%. Ma è soprattutto il modello a essere premiante: “Noi l’olio lo rigeneriamo, negli altri paesi non esistono sistemi efficienti come quello italiano: la maggior parte dell’olio lo bruciano. Ed è considerato accettabile bruciarlo”, sottolinea il presidente del Conou Riccardo Piunti. Due i punti di forza che hanno portato a questi risultati: il modello dei consorzi “che fanno da bilanciatori in un sistema di imprese private e le orienta tutte su fini ambientali è vincente”, da cui discende la diffusione di una specifica cultura del riciclo. Certo non ci si può sedere sugli allori, i cambiamenti sono continui. Ad esempio, sta crescendo la quota di biolubrificanti, che richiedono un trattamento diverso e la separazione dagli oli minerali. “Ci stiamo già attrezzando per capire chi li usa e quanto ne usa, e su come rigenerarli in modo diverso”, assicura Piunti.

Margini di miglioramento ce ne sono. Uno dei punti principali su cui concentrarsi è il divario tra il tasso di riciclo rifiuti, arrivato nel 2021 al 48,1%, e il dato della raccolta differenziata, che è invece al 64%. Dati che ci dicono che “dobbiamo avere un rifiuto di qualità, dobbiamo lavorare molto sugli impianti, che devono essere adeguati, anche con investimenti PNRR”, spiega Maria Siclari direttrice generale Ispra. La differenziata, poi, non è ancora distribuita in modo uniforme (il Nord ha punte del 71%, il Sud è al 55%). “Ma complessivamente l’85% dei Comuni hanno impianti per fare differenziata per oltre la metà dei rifiuti”, commenta positivamente Siclari.

Il PNRR è un’occasione per cancellare questi divari. E ci si sta muovendo bene sia sulla linea di finanziamento per i progetti-faro, le 4 linee strategiche di intervento principali, sia su quella destinata ai Comuni per la quale non ci sono abbastanza risorse per gli oltre 3000 progetti presentati. “In entrambi i casi la maggior parte delle risorse sono state destinate al Centro-Sud”, assicura la direttrice generale di Ispra, che ha partecipato alla commissione per l’assegnazione dei fondi.