Rinnovabili

La doppia vita delle batterie al Litio

La crescente elettrificazione e “ibridazione” dei trasporti, determinata in parte dall’aumento del prezzo del petrolio e in parte dalla volontà di realizzare una mobilità sempre più sostenibile, sta puntando i riflettori su una serie di problematiche che esigono risposte concrete in tempi brevi, per evitare, come spesso accade, di dover rimediare a qualcosa solo perché non c’è stata abbastanza lungimiranza nella fase progettuale. Tra queste, centrale è la questione relativa al Litio, il più leggero degli elementi solidi, rappresentato dal numero atomico 3 nella tavola periodica e appartenente al gruppo dei metalli alcalini. Impiegato nel settore automotive da oltre dieci anni, ci si chiede oggi che fine facciano le batterie agli ioni di litio una volta che il veicolo nel quale “hanno prestato servizio” arrivi alla fine del suo ciclo di vita. A darci alcune delucidazioni sulla materia è stata la Sezione “Sistemi per l’Energia e la Mobilità (SEM)” del Centro Interuniversitario di Ricerca Per lo Sviluppo sostenibile (CIRPS), coordinata dal Prof. Fabio Orecchini.
Come ci hanno spiegato Orecchini e i ricercatori della Sezione SEM Alessandro Dell’Era e Adriano Santiangeli, si tratta di un elemento largamente disponibile a livello mondiale, ma che, a causa della sua reattività, si presenta sempre legato ad altri elementi o composti. Quantificato nel mondo in circa 28 milioni di tonnellate, con un potenziale di estrazione che secondo dati recenti è stimato in circa 11 milioni di tonnellate, quasi il 50% delle riserve disponibili di Litio commercialmente sfruttabili si troverebbe in Bolivia, nei laghi salati prosciugati delle Ande, come quello di Salar de Uyuni.
A partire dalla metà degli anni 2000, il Litio ha iniziato a trovare spazio anche nel settore automotive. «Le batterie al Litio, infatti, hanno affiancato e in alcuni casi sostituito quelle al Nichel idruri metallici, tutt’ora le più utilizzate per veicoli ibridi-elettrici». Ma una volta che il veicolo viene dismesso, occorre prestare particolare attenzione a come esse debbano essere correttamente smaltite.
Il Litio, spiegano i ricercatori, è tossico se ingerito o inalato e corrosivo per gli occhi, la pelle e le vie respiratorie.

 

«Esso inoltre reagisce violentemente con l’acqua, formando idrogeno altamente infiammabile e vapori corrosivi di idrossido di litio. L’idrossido di litio costituisce un potenziale pericolo per l’ambiente in quanto corrosivo. Dannosa per gli organismi acquatici anche una sua eventuale dispersione in mare».

 

Ma il riciclo delle batterie agli ioni di Litio oltre a essere una prassi per il rispetto dell’ambiente è anche un’operazione economicamente conveniente.

 

«Le batterie agli ioni di Litio possiedono un valore di mercato anche se riutilizzate. Al termine del ciclo vitale a bordo di un’auto (5-10 anni), una batteria al Litio conserva il 70-80% di capacità residua, grazie alla quale continua a immagazzinare e rilasciare energia e per questo aspirare ad avere una seconda vita in altri ambiti (civile, terziario, industriale), raddoppiando la sua durata di ulteriori 5-10 anni».

 

Alla fine delle “due o tre vite” che attendono ogni batteria al litio, chiarisce il team di Orecchini, i produttori diventano responsabili del loro trattamento, così come stabilito nell’ottobre 2008 dalla Direttiva europea in materia al fine di conservare risorse preziose e ridurre al minimo il degrado ambientale.

 

«Dal settembre 2009 – aggiungono – gli Stati membri devono assicurare che le batterie raccolte vengano trattate e riciclate utilizzando le migliori tecniche disponibili. Nel caso del litio, il valore della materia prima è molto alto, questa è un’eccellente garanzia “indiretta” di riciclo a fine vita».

 

Ma nel caso in cui non vengano re-impiegate nei sistemi di stoccaggio, in che modo è possibile recuperare il litio in esse contenuto? A rispondere è sempre la squadra di ricercatori:

 

«Ci sono essenzialmente due tipi di metodi per riciclare le batterie al Litio. Con il primo (pirometallurgico), le batterie vengono poste in forni ad arco elettrico prevedendo processi di fusione con cui vengono recuperati i metalli pesanti in esse contenuti. Un secondo metodo (idrometallurgico) consente di arrivare a elevati gradi di purezza e di recuperare, tramite livelli di separazione per precipitazione o cementazione idrometallurgica, metalli come zinco, manganese, cobalto nichel e litio».

 

Il riciclo, insomma, di questo materiale oltre a essere un dovere per salvaguardare la salute dell’ambiente è anche un processo economicamente conveniente. In un’ottica di efficienza, potrebbe essere comunque ritardato raggiungendo efficienze e prestazioni più elevate oppure aumentando la vita operativa di tali batterie.

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