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Dalle profondità marine, la soluzione per la degradazione della plastica

degradazione della plastica
Via depositphotos.com

Fino ad oggi erano noti 80 enzimi di degradazione della plastica. Con la nuova scoperta si fa un passo avanti verso applicazioni industriali

(Rinnovabili.it) – Dalle profondità marine emerge un nuovo enzima capace di operare la degradazione della plastica. Lo ha scoperto un nuovo studio condotto da scienziati dell’Università di Kiel. I risultati ampliano sostanzialmente la conoscenza dei microrganismi capaci, nello specifico di degradare il PET, materiale comunemente presente nelle bottiglie di plastica.

Il gruppo di ricerca ha pubblicato i risultati sulla rivista Communications Chemistry, discutendo sia le applicazioni biotecnologiche che la rilevanza per i processi biogeochimici oceanici e terrestri. “Nel nostro studio abbiamo scoperto una nuova risorsa genetica da organismi di acque profonde appartenenti agli archaea”, ha detto la professoressa Ruth Schmitz-Streit, capo del gruppo di lavoro. 

Fino ad oggi, infatti, erano noti circa 80 diversi enzimi di degradazione del PET, la maggior parte dei quali trovati in batteri o funghi. Il nuovo microrganismo è stato chiamato PET46. Utilizzando un approccio metagenomico, il team lo ha identificato e descritto biochimicamente per la prima volta. In questo processo ha scoperto il gene utile comparandolo con sequenze simili e già note. Di qui è avvenuta la sintesi del gene codificante corrispondente, la produzione della proteina nel batterio Escherichia coli e quindi lo studio biochimico e strutturale. 

PET46 ha la capacità di degradare sia le molecole di PET a catena molto lunga (polimeri) sia quelle a catena corta (oligomeri). Lo fa con una efficienza superiore a molti suoi predecessori alla temperatura di 70 °C. Queste caratteristiche lo rendono particolarmente adatto alla gestione dei rifiuti plastici. Inoltre, utilizza un meccanismo completamente diverso dagli altri per legare il substrato. A livello molecolare, però, PET46 è molto simile a un altro enzima: l’esterasi dell’acido ferulico. Quest’ultimo è capace di degradare il polimero naturale della lignina nelle pareti cellulari delle piante. Lignina e il PET hanno molte somiglianze strutturali, quindi si profilano alcune applicazioni interessanti, oltre al contrasto all’inquinamento da plastica. Ad esempio, questi enzimi potrebbero funzionare anche per il compostaggio del legno nei terreni forestali.

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