Il consumo di plastica riciclata è salito del 4% l’anno scorso. Nei nuovi prodotti, però, c’è solo il 20% di materiale da riciclo
Il settore del packaging assorbe il 35% della plastica riciclata. Al secondo posto l’edilizia
(Rinnovabili.it) – L’utilizzo di plastica riciclata in Italia cresce e raggiunge nuovi record, ma è ancora molto lontano da quel che servirebbe. Lo afferma un rapporto di IPPR Plastic Consult, l’Istituto per la promozione delle plastiche da riciclo. Lo scorso anno, secondo i numeri forniti a fine giugno, i volumi di plastiche riciclate trasformate in Italia sono cresciuti di circa 50 mila tonnellate, facendo segnare un +4% sull’anno precedente. In numeri assoluti, si tratta di 1,3 milioni di tonnellate, per il 71% post-consumo e il restante 29% da cosiddetto sfrido industriale (cioè il residuo della lavorazione). Sostanzialmente, un terzo dei rifiuti di plastica riciclabili e successivamente trasformati, vengono prodotti prima del consumo.
In una nota sul sito del Corepla, il Consorzio italiano di recupero della plastica, viene descritto l’andamento per classe di polimeri.
“Il polietilene fa la parte del leone con il 33% tra alta e bassa densità (quest’ultima cresce del +13% rispetto al 2021), seguito a ruota dal polipropilene con il 26%, in leggero decremento (-1%). Il PET vale circa il 17%, mentre PVC e polistirene (rigido ed espanso) raggiungono entrambi il 6% del totale. Si segnala, inoltre, un incremento dei misti poliolefinici (+12,8%) che ammontano complessivamente al 12% del consumo totale”.
Il settore del packaging è il mercato prevalente, con il 35% del totale. L’edilizia è al secondo posto, con il 26% del mercato. Fibre, imballaggi e costruzioni fanno registrare i migliori aumenti, tra il +6 e il +10%. Al contrario, i settori di casalinghi e arredamento mostrano una flessione del -6,8%.
Tuttavia, il numero più significativo riguarda la quantità di plastica riciclata nei prodotti. Da questa cifra si comprende quanta strada resti ancora da fare per cambiare sensibilmente lo scenario. Complessivamente, infatti, appena il 20% del totale è costituito da polimeri riciclati, tutto il resto è materiale vergine. Esiste un potenziale, ottimizzando i processi e con la spinta delle normative sui CAM (Criteri Ambientali Minimi) di arrivare al 30%, ma rimane una quota piuttosto risibile.