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Il segreto del CONOU? Controllo dei flussi e rigenerazione a tutti i costi

Il Consorzio rappresenta un modello organizzativo ed ambientale invidiato in tutta Europa, con quasi il 100% di raccolta e riciclo degli oli minerali usati. Come si può ulteriormente migliorare il sistema e quali sono le novità del settore? Ne parliamo con il suo presidente, Riccardo Piunti.

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di Mauro Spagnolo

(Rinnovabili.it) – A pochi mesi dal suo insediamento abbiamo incontrato Riccardo Piunti, il nuovo presidente del CONOU, l’uomo che ha avuto il difficile compito di raccogliere la lunga e profonda eredità del suo predecessore, Paolo Tomasi, riuscendo già a dare, con competenza e professionalità, segni innovativi alla rotta del Consorzio. 

Presidente Piunti, più volte lei ha affermato che per la lotta ai cambiamenti climatici uno strumento importantissimo è rappresentato dall’economia circolare. Ci spiega perché?

Tempo fa ho letto un rapporto che riportava numeri raccapriccianti: ogni anno utilizziamo sul pianeta circa 101 miliardi di tonnellate di materia e di questi solo 8 provengono dal riciclo. Ciò vuol dire che ogni anno la Terra perde irrimediabilmente circa 93 miliardi di tonnellate di materia. Credo che in questo modo il pianeta non possa sopravvivere. E l’unica soluzione a questa tendenza scellerata è fare marcia indietro, velocemente, e sviluppare l’economia circolare. Da una parte è necessario che la gran parte di questi rifiuti venga gestita in modo più corretto, perché non li possiamo abbandonare in natura come previsto dall’economia lineare o attraverso la scorciatoia troppo facile della termovalorizzazione, dall’altra dobbiamo tornare alla vecchia logica dell’astronave chiusa. Quando si vive per lunghi periodi nello spazio, infatti, il consumo di per sé, anche se necessario, non rappresenta un fattore benemerito. In quella situazione il vero valore consiste nel consumare meno materia prima possibile utilizzando, almeno in buona parte, quella generata dal riciclo dei rifiuti. Questa è la logica che dobbiamo avere anche sul nostro “pianeta astronave”. 

Immagino che questo approccio lo possiamo riportare anche al settore degli oli minerali…

Assolutamente si. Credo che il caso italiano del riciclo dell’olio minerale rappresenti davvero questo nuovo paradigma. Un paradigma che ci conferma, con le dovute differenze tecniche ed economiche delle diverse tipologie di materia, che esiste in concreto la possibilità di recuperare praticamente tutto, o quasi. Sottolineo: non in tutti i settori è possibile arrivare a questi risultati, ma il modello italiano sul ciclo di vita dell’olio minerale dimostra la possibilità reale che, attraverso un sistema coordinato ed indirizzato ad un obiettivo chiaro, il rifiuto si può ridurre ad una quota sempre più prossima allo zero. 

In questo senso il CONOU rappresenta una delle esperienze più virtuose tra quella che abbiamo in Italia grazie alla capacità di raccolta e riciclo molto vicina al 100% contro, se non sbaglio, una media europea del 40% di raccolta e del 60% di riciclo. Qual’è il segreto del CONOU?

Sono stato contattato varie volte da consulenti stranieri che volevano capire come funziona il nostro Consorzio. Con ognuno di loro sono stato sempre molto chiaro: noi non abbiamo una particolare ricetta: la nostra strategia vincente è costituita unicamente dal sistema organizzativo del Consorzio stesso. Per comprendere poi  l’aspetto chiave, e che ci differenzia dal resto dell’Europa, bisogna risalire a quando è stato costituito il Consorzio. Fin da allora è stato stabilito in modo indiscutibile che la priorità è la rigenerazione. Ciò ha fatto sì che il CONOU – per altro Consorzio unico e senza fine di lucro – potesse avere un controllo corretto ed esatto dei flussi. Mi spiego meglio: perché in un altro paese europeo civile e con standard elevati simili all’Italia, l’olio non viene rigenerato, ma bruciato? Perché, per semplicità logistica, una ditta che produce olio usato ha vicino un’altra ditta che, con facilità, lo compra e lo termovalorizza. E così si esaurisce il ciclo. 

Questo in Italia non accade. Il principio di rigenerazione dell’olio, risalente addirittura ad una legge del 1940, è stato sempre il fattore portante della strategia nazionale. Nella piena consapevolezza che l’olio sia troppo prezioso per essere usato come combustibile. 

Quindi la priorità è la rigenerazione. Ed il Consorzio ha la capacità di controllare in modo completo questi flussi. Raccogliamo gratuitamente dall’azienda che produce olio usato e lo destiniamo all’uso migliore che normalmente è la rigenerazione. Se poi ci sono quantitativi di olio – in Italia assolutamente marginali – che non possono essere rigenerati per diversi motivi, verranno utilizzati per la produzione energetica. 

Oggi è possibile esportare questo modello in altri paesi europei?

Il problema centrale, tanto per essere chiari, è la lobby di chi utilizza questo prodotto come prodotto energetico, e non ha convenienza nella rigenerazione. Per fortuna l’Europa sta fissando degli standard di rigenerazione più elevati portando l’obiettivo al 2025 dall’attuale 60% all’85%. Ed allora qualcosa cambierà sicuramente. 

Torniamo in Italia. Le Regioni hanno un approccio collaborativo con il vostro sistema?

Direi proprio di sì. Un esempio? Le cito il recente aggiornamento del Piano regionale dei rifiuti della Regione Lombardia, regione che, come lei sa, è tra le più avanzate da questo punto di vista. Sul Piano si legge che, analizzando i dati sui risultati ottenuti dal CONOU in termini di capacità di raccolta, si ha la conferma sulla natura stessa del CONOU quale entità non sottoposta direttamente alle sollecitazioni del mercato in quanto non indirizza la raccolta unicamente dove e quando i costi e i volumi sono di interesse economico. È così evidenziato un altro aspetto: non solo è importante il controllo dei flussi, ma anche l’obiettivo che il sistema non abbia un interesse economico in favore di una specifica categoria, ma unicamente quello dell’efficienza operativa e, specialmente, quello ambientale insito nella rigenerazione.

Ho letto che nel ciclo di rigenerazione esiste un crescente problema dovuto alla presenza del silicio nell’olio usato. E’ vero?

In effetti il silicio, presente fortunatamente solo in alcuni oli industriali, ha rappresentato un problema serio. Il CONOU lo ha affrontato attraverso una mirata campagna di separazione degli oli industriali con forte presenza di silicio dagli altri lubrificanti usati raccolti dalle nostre aziende. In tal modo non abbiamo danneggiato integralmente il processo di rigenerazione. E ciò lo abbiamo ottenuto attraverso il meccanismo di garanzia di qualità dell’olio usato

Direi che il problema del silicio sia esclusivamente tecnico e attualmente risolto.  

Parliamo dei biolubrificanti che, come sappiamo, la UE sta spingendo molto. Come sta vivendo il CONOU l’ingresso di questi nuovi prodotti nel circuito degli oli usati?

A mio giudizio l’Europa sta giustamente valorizzando i biolubrificanti: sono prodotti di alta qualità perchè non infiammabili  e,  se vergini, anche biodegradabili. Quindi è particolarmente sensato promuoverli, come avviene in Italia attraverso la completa esenzione dell’imposta al consumo. 

Quindi non vedete problemi al loro sviluppo… 

Certo che si. Il problema è che l’Europa si è dimenticata un aspetto fondamentale: ha stabilito correttamente per i biolubrificanti la biolabel e l’etichetta ambientale, ma non ha valutato che i biolubrificanti, una volta utilizzati, diventano prodotti inquinanti e necessitano di essere raccolti e smaltiti correttamente, come gli oli minerali. Quindi dovrebbe essere scontato che i produttori paghino come tutti il contributo al Consorzio per il loro fine vita. Ma questo non è previsto.

Cosa accade allora?

Vengono raccolti ugualmente dal nostro servizio, anche se non hanno pagato il contributo all’origine. Inoltre questi oli, essendo chimicamente diversi da quelli minerali, non sono compatibili con il nostro sistema di rigenerazione e finiscono, se miscelati, per danneggiarlo. Infatti durante il trattamento attivano un processo di saponificazione che è particolarmente dannoso.

Cosa bisognerebbe fare allora, vista la valenza ambientale di questi prodotti?

Mancano tre tasselli al sistema di rigenerazione dei biolubrificanti: uno, i produttori dovrebbero farsi carico delle spese per la gestione del fine vita e quindi pagare il contributo al Consorzio, due dovrebbero essere tenuti separati dagli altri oli già dal produttore del rifiuto – come la norma già chiaramente indica –  e tre debbono avere un loro specifico percorso tecnologico alla rigenerazione (ciò non è impensabile, ci sono molti studi in atto).  

Tutto questo, chiaramente, ha dei costi che vanno gestiti in un sistema parallelo a quello attuale degli oli minerali. Il Consorzio è pronto a farsi carico di questo processo, a patto che rientri in un sistema organizzativo ed economico sostenibile.

In collaborazione con CONOU