di Nicola Pirina
Da anni veniamo interrogati sui benefici del riciclo rifiuti per l’ambiente e per le comunità. Nel mentre veniamo riempiti di mastellini e mastelloni che il maestrale frulla come coriandoli. Davvero cinquanta sfumature di mastello. Ed il comportamento d’acquisto e di consumo non cambia. Almeno in maniera non incisiva.
E allora ci vengono in mente altre domande.
Si può incidere sulla quantità di quintali inviati in discarica o all’inceneritore? Abbiamo ben presente che se i rifiuti arrivano in discarica o all’inceneritore il problema rimane sempre nostro e lo stiamo anche consegnando tal quale alle generazioni che ci seguono? Abbiamo presente il valore dell’acqua, del legno, dei minerali e dei metalli?
Delle materie prime? Abbiamo considerato, nel tempo che arriva, l’uso delle materie cosiddette prime? Veramente abbiamo un consumo responsabile dell’energia che acquistiamo e che prevalentemente non sappiamo né dove né com’è prodotta? Usiamo la macchina solo se ci serve? Compriamo solo per necessità l’essenziale?
Il riciclo (ed i suoi passaggi per avere cicli continui) dove si origina? Nella raccolta? Nella separazione? In casa? Nelle pattumiere pubbliche dell’indifferenziato generico? Nelle isole ecologiche? Nelle strutture di stoccaggio per un generico recupero? O a monte in produzione? O ancora più a monte quando vengono progettati i prodotti che poi debbono essere commercializzati?
E’ pensato il riciclo in ragione delle esigenze di consumo dei territori in cui avviene? O ancora spostiamo camion e navi da un posto all’altro del mondo? Quanta acqua serve per gli attuali processi di riciclo? Quanta energie e prodotta come? Chi c’è dietro l’attuale filiera del riciclo?
Se è vero che carta, alluminio, plastica, vetro, acciaio, elettronica piccola e voluminosa e così via, ad esempio, possono diventare pavimentazione per le strade, moquette, barattoli, paraurti, scatole, contenitori in vetro, bottiglie di detersivo per bucato, olio motore, chiodi, giornali, tovaglioli di carta e sacchetti della spazzatura, è altrettanto vero che bottiglie di plastica trovate in spiaggia e nei mari possono essere trasformate in gioielli, bucce d’arancia in tessuti per cucire abiti di lusso, vecchie tavole da snowboard occhiali da sole, vele di kite in streetwear d’alta gamma.
Ecco le combinazioni di cui al titolo, serve un blend tra gli aspetti culturali ed economici, serve un vero e proprio modello economico, per ora quello proprio dell’economia circolare, poi chi vivrà vedrà.
Oggetti progettati immaginando il minor impatto sulle materie prime o secondarie, prodotti pensando alla loro durata nel tempo, lavorati in modo da non avere scarti o di ridurli al minimo indispensabili, già pensati al loro riutilizzo futuro.
In fondo il saggio diceva che nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma.
Per non parlare degli altri due temi collegati, il riuso e la riparazione, i due grandi trascurati sia negli aspetti culturali che nei cicli economici. A tratti vessillo (a parole) dei radical chic e poco oltre. Dalla finanza agli arredi, per arrivare al cosiddetto re-tek, per l’elettronica avanzata. Idem in agricoltura. E suo tramite fino alla cosmesi.
Nessuno dovrebbe sentirsi escluso. Da spreco a risorsa. Questa è la filosofia, tutto può avere una seconda vita, se pensato prima della prima.
E miglioriamo di sicuro anche la salute dei territori.
Terreni sani, cibo salubre, persone sane. Facile, no?
Promuovere la bioeconomia rigenerativa assicura la sicurezza alimentare e l’agricoltura di qualità, supporta le filiere innovative, integra i territori.
End of Waste is the new rule
E’ possibile estendere l’economia circolare anche al commercio online, tipicamente basato su un modello di economia lineare che alimenta la crescita di prodotti usa e getta, difficilmente riciclabili e riparabili ed aumenta gli sprechi di risorse?
Ripeto: nessuno dovrebbe sentirsi escluso. Da spreco a risorsa. Questa è la filosofia, tutto può avere una seconda vita, se pensato prima della prima.
Cosa impedisce a tutti di incorporare un programma di riuso / riciclo in un processo di produzione? Si può iniziare da visione e strategia, accompagnandole con cambiamenti nella cultura aziendale e nei suoi processi.
Strutture, sistemi, obiettivi e misurazioni a supporto del programma. E comunicazione, comunicazione, comunicazione, interna ed esterna. Agiamo sui processi partecipativi per renderli creativi, arriveranno soluzioni innovative. Secondo dati recenti, le nostre discariche sono riempite con rifiuti che potrebbero essere facilmente riciclati:
- Il 21% del cibo, la più grande componente in discarica
- 14% di carta e cartone
- 10% di gomma, pelle e tessuti
- 18% di plastica
Potremmo potenzialmente iniziare a spostare fino al 63% di quei materiali che vengono inviati in discarica ogni anno. Pensate all’impatto.
Sul pianeta prima e sui sistemi economici poi.
Sapevate che la pasta di legno e la carta sono il 5° maggior consumatore industriale di energia al mondo? Il riciclo della carta, invece, utilizza il 65% di energia in meno rispetto alla produzione di nuovi prodotti di carta a partire dalle materie prime. Quanta acqua dei parrucchieri, nelle spa, nelle nostre docce, lavelli e lavandini viene sprecata prima che diventi della temperatura utilizzabile? Perchè non esiste ancora un sistema efficiente?
A Voi le conclusioni.
Nonostante le campagne di sensibilizzazione ed i programmi per il riciclo siamo ben lontani da una situazione di sicurezza e certo non vediamo bene in prospettiva. Il riciclo, infatti, non è solo questione di recupero di materiale, è un sistema economico totale che dovrebbe essere globale.
Mentre i responsabili delle politiche pubbliche stanno ancora cercando di valutare cosa c’è di sbagliato nei programmi di riciclo, le grandi aziende e i piccoli imprenditori sono nella posizione migliore per prendere l’iniziativa. Ancora più importante, è nel loro interesse economico farlo. Il successo del riciclo – anzi, il suo vero valore a lungo termine – non dipenderà da quanto spazio viene risparmiato nelle discariche, ma dal fatto che il riciclo abbia o meno senso economico.
Un mondo diverso è possibile, basta volerlo.
Come persone, come imprese, come sistemi territoriali.
Prima o poi le classi di governo capiranno.